La legislazione che regola il possesso, l’utilizzo e la coltivazione della cannabis varia a seconda delle diverse aree del mondo. Nella maggior parte del pianeta possedere marijuana è illegale, ma ci sono gradi di “tolleranza” come in Cambogia, Belize e Brasile, mentre in Europa alla rigidità di Germania Francia Grecia Svezia Finlandia Gran Bretagna Irlanda e Italia si oppone il caso olandese e anche l’esperienza della Spagna, ma sopratutto quella del Portogallo.
Vedremo insieme da questo ampio panorama, in continuo sviluppo e fermento, i vari approcci, da quello ormai obsoleto e proibizionista alla depenalizzazione con i suoi primi effetti; dai progetti del SudAmerica nel tentativo di togliere terreno e soldi ai narcos ai progetti finanziari ed economici del mercato negli USA fino all’esperienza di Israele, che col solito sguardo pragmatico, rivolge le attenzioni al famoso “principio attivo” (il THC) ed ai suoi possibili, e molto remunerativi, brevetti farmaceutici futuri.
EUROPA
la cannabis è totalmente illegale in Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Irlanda, Grecia e Finlandia.
L’Olanda è l’unico Paese dell’Ue che ha depenalizzato il possesso, la vendita, il trasporto e la coltivazione della cannabis. Il che non equivale giuridicamente all’aver legalizzato la marijuana, che è considerata comunque illegale, ma può essere venduta da gestori autorizzati e controllati dallo Stato, come i coffee shop, o essere coltivata per uso personale senza incappare nell’arresto.
In Spagna è legale coltivare o fumare cannabis all’interno delle mura domestiche ma è illegale trasportare droghe leggere o fumarle in luoghi pubblici.
In Svizzera è illegale la vendita e l’utilizzo di droghe leggere, ma il possesso è stato depenalizzato e la coltivazione è legale in alcuni Cantoni.
in Belgio la marijuana è illegale, ma sono stati depenalizzati il possesso e la coltivazione.
la Russia ha depenalizzato il possesso, il trasporto e la coltivazione della cannabis, ma è un crimine venderla. Se si viene fermati con addosso fino a 6 grammi di cannabis o 2 di hashish si può essere multati; una quantità maggiore fa scattare le manette. Lo stesso dicasi per la coltivazione: si possono coltivare fino a 20 piante di ma se si viene scoperti si rischia una multa, in galera dalla 21°pianta.
Il Portogallo dal 2001 (è stato il primo Paese al mondo) ha depenalizzato l’utilizzo di ogni genere di droga, anche se è possibile essere arrestati o inviati in centri di riabilitazione se si viene trovati più volte in possesso di sostanze stupefacenti. Per essere portati in carcere bisogna farsi trovare con una dose che supera il fabbisogno individuale di droga di dieci giorni, che è di 25 grammi se parliamo di erba e di 5 grammi di hashish. In Portogallo tutto era iniziato negli anni Ottanta, quando l’eroina a buon mercato proveniente da Afghanistan e Pakistan aveva iniziato a inondare l’Europa. In Portogallo la diffusione fu vastissima: a metà degli anni Novanta il numero di tossicodipendenti gravi era arrivato a 100 mila, l’1% della popolazione totale, e il dato di coloro che avevano contratto epatiti o HIV era notevolmente superiore a quello di molti altri paesi. Il governo portoghese comprese allora che bisognava arginare il problema e convocò una commissione anti-droga composta da 11 esperti, per la maggior parte non politici, tra cui Joao Goulão. La commissione si orientò essenzialmente attorno al presupposto che “i consumatori di droghe non sono criminali ma malati”, e che la materia avrebbe dovuto essere competenza del ministero della Salute e non più di quello della Giustizia. L’approccio che ha costituito la base principale dell’esperimento in Portogallo è stato dunque questo: i consumatori di droga non sono dei criminali e non devono essere trattati come criminali, quindi arrestati o processati (prima della depenalizzazione in Portogallo la pena per possesso di droga poteva arrivare fino a un anno di prigione).
Venne così approvata la legge 30/2000, che ha depenalizzato l’uso di tutte le droghe illecite e ha fissato, attraverso una tabella, il loro possesso fino a quantità pari ai bisogni di dieci giorni di consumo: 25 grammi di marijuana, 5 grammi di hashish, un grammo di eroina, 2 grammi di cocaina e un grammo di MDMA, il principio attivo dell’ecstasy. Le sostanze elencate nella tabella restano ancora illegali – “ci sarebbero stati problemi con le Nazioni Unite”, racconta Goulão – ma le persone trovate in possesso di sostanze stupefacenti non sono più arrestate, bensì inviate davanti a una commissione formata da un giurista, uno psicologo e un medico (ce ne sono 17 in tutto il Portogallo), chiamata ”Commissione di avvertimento sulle tossicodipendenze”, che valuta il percorso dell’utilizzatore, il suo livello di consumo della sostanza e propone un un sostegno psicologico o l’opportunità di accettare un trattamento di recupero finanziato dallo Stato. Il consumatore non ha l’obbligo di seguire queste indicazioni ma deve evitare di essere inviato nuovamente di fronte alla commissione nell’arco di sei mesi. In caso contrario viene punito penalmente con una multa, variabile da 5000 pesetas (25 euro) fino al livello del salario minimo nazionale.
Il Portogallo tratta il problema tossicodipendenza e tossicomania dal punto di vista esclusivamente medico piuttosto che penale: “l’assistenza terapeutica è molto più efficace del carcere nel convincere un tossico a smettere”, così spiega Goulao. Il Portogallo oggi ha uno dei tassi più bassi dell’Unione Europea come consumo di marijuana. Lo stesso dicasi per i tassi di consumo di eroina ed infezioni di HIV scesi oggi a livelli minimi.
ASIA
Cina: droghe leggere completamente illegali, non esiste alcuna depenalizzazione, né per l’uso privato né per la coltivazione.
In India la cosiddetta erba è illegale, ma il suo consumo, il trasporto e la vendita sono permessi in casi specifici e previa autorizzazione governativa. In molte città sacre, come Varanasi, il governo controlla negozi che vendono cannabis sotto forma di “bhang”. Il bhang è una bevanda ottenuta mescolando i boccioli di un fiore con la pianta di cannabis, che viene sorseggiata durante dei rituali hindu, per raggiungere uno stato di estasi o nirvana. La legge indiana proibisce l’utilizzo e il possesso di cannabis al di fuori delle manifestazioni religiose, ma è anche vero che la polizia spesso chiude un occhio, tanto è vero che esistono grosse piantagioni di cannabis in tutto il sub-continente indiano.
in Iran la legge anti-droghe è leggera. Nella Repubblica islamica, dove comunque il consumo di cannabis non supera il 2% , coltivare l’erba è legale se viene fatto per scopi alimentari. I semi di cannabis sono solitamente mangiati dagli iraniani e se ne ricava dell’olio che viene venduto legalmente.
In Giappone non c’è depenalizzazione e la cannabis è illegale sempre e comunque, sia che se ne faccia uso personale sia che la si coltivi dentro le mura domestiche.
La Cambogia invece ha un regime ambiguo. Da una parte le droghe leggere sono formalmente illegali, ma di fatto non si incorre in nessuna sanzione se utilizzate, coltivate o distribuite. La cannabis viene chiamata dai cambogiani “erba della felicità”, ed è molto comune trovare locali dove i cartelli all’entrata indicano la vendita della marijuana, o di altre sostanze stupefacenti per così dire “naturali”.
Corea del Nord: di quello che succede nella Corea comunista filtra ben poco all’esterno, ma diversi esperti sostengono che a Pyongyang la cannabis non viene trattata in modo illegale. Non si ha certezza che l’erba sia legale in Corea del Nord, ma – almeno a giudicare dalle immagini dei satelliti – esistono ampie coltivazioni di cannabis, il che fa credere che la vendita e il consumo siano autorizzati.
AMERICA LATINA
dopo tutto il gran parlare di legalizzazioni in Sud America solo l’Uruguay ha davvero legalizzato completamente la cannabis. Esiste una legislazione più flessibile in Colombia e Messico, dove le droghe leggere sono illegali, ma il loro consumo è stato depenalizzato. Linea dura, invece, in tutti gli altri Stati sudamericani, anche se in Belize e in Brasile, nonostante il divieto e le leggi ferree, le maglie sono molto larghe ed esiste una tolleranza diffusa al consumo di cannabis.
URUGUAY
Recentemente il Senato dell’Uruguay ha approvato una legge, voluta fortemente dal presidente “contadino” José Mujica, che regola la produzione, la distribuzione e la vendita della marijuana, confermando il voto favorevole della Camera dello scorso 31 luglio. L’Uruguay è diventato il primo paese di tutto il mondo ad approvare una norma di questo tipo.
La discussione al Senato è stata molto accesa e la votazione finale è arrivata solo dopo 12 ore di dibattito. La legge permette a tutti i maggiorenni di coltivare la marijuana in casa con il limite massimo di 6 piante di canapa e una produzione annuale di marijuana che non può superare i 480 grammi. È permessa anche la coltivazione promossa da associazioni con un numero di soci compreso tra i 15 e i 45: in questo caso il limite del numero di piante di canapa consentito è di 99. Le farmacie autorizzate potranno vendere fino a un massimo di 40 grammi al mese per ciascun acquirente, che dovrà però annotarsi preventivamente in un registro obbligatorio. Il governo dovrebbe offrire una marijuana più economica e di migliore qualità rispetto a quella che si può ottenere sul mercato illegale: la Junta Nacional de Drogas dell’Uruguay ha detto che la marijuana potrebbe essere venduta a un dollaro al grammo (la decisione definitiva spetta al governo).
La legge è stata sostenuta dal governo del presidente José Mujica come parte di un grande sforzo legislativo per cercare di ridurre il consumo delle droghe e combattere i profitti illeciti della criminalità organizzata. Il partito di centrosinistra al governo, il Frente Amplio, ha spiegato alla Camera che la legge vuole minimizzare i rischi e ridurre i danni dell’uso di cannabis, sostanza che rappresenta l’80 per cento del totale delle droghe diffuse in Uruguay e il cui uso – stima il governo – riguarda 120mila persone (secondo alcune associazioni uruguaiane i consumatori sarebbero molti di più, circa 200mila).
In Uruguay fino a questo momento era permesso il consumo di marijuana, ma non la sua produzione e vendita. Secondo i sostenitori della legge, questa situazione aveva fatto sì che molti consumatori si rivolgessero al mercato illegale per rifornirsi della sostanza. Roberto Conde, senatore del Frente Amplio, ha detto che la legge vuole trovare un equilibrio tra la libertà dell’individuo e la sua integrità fisica e ha aggiunto: «Non si tratta di creare un mercato della marijuana, ma di regolare quello che ora è in mano ai narcotrafficanti». La legge è anche l’ultima di una serie di leggi molto liberali approvate dal parlamento uruguaiano nel corso dell’ultimo anno, come quella della depenalizzazione dell’aborto e della legalizzazione dei matrimoni gay.
Mujica comunque ha spiegato che la legge è un “esperimento” e di essere pronto a rivederla nel caso in cui non dia i risultati sperati.
PARAGUAY
caso diametralmente opposto il Paraguay: “La marijuana è il primo punto di contatto con le altre droghe, quindi sono contrario alla legalizzazione”. Così Horacio Cartes, presidente del Paraguay, Paese produttore di gran parte della cannabis fumata in Uruguay, che ha lanciato un mercato legalizzato della marijuana nella speranza di combattere il traffico illegale. Cartes ha poi aggiunto di avere visto ex compagni di liceo “soffrire e morire” a causa degli effetti della marijuana, che allo stesso modo fa soffrire anche gli altri. Per quanto riguarda la produzione di marijuana nelle Americhe, ha detto il capo del dipartimento anti droga paraguayano Luis Rojas, il Paraguay è secondo solo al Messico.Horacio Cartes il narcopresidente del Paraguay, paese dove sono prodotte annualmente 48.000 tonnellate di marijuana,che è il secondo produttore mondiale di marijuana dopo il Messico.
Le maggiori aziende, tra le altre, di Horacio Cartes (che è miliardario) sono Tabacalera del Este S.A. e Tabacos del Paraguay S.A. . Inoltre è proprietario del Club Libertad, squadra di calcio che ha vinto per sette volte il campionato paraguayano, e possiede diverse imprese agroganaderas, aziende alimentari e di abbigliamento, oltre al Banco Amambay (i traffici poco chiari per questa banca hanno rivelato che l’attuale presidente paraguayano ha contatti con i narcos) Cartes sarebbe a capo di una grande impresa volta a riciclare denaro sporco per le mafie del continente latinoamericano.
Nel 2000 la Secretaría Nacional Antidrogas scoprì che nell’estancia Nueva Esperanza, di sua proprietà, era atterrata un’aeronave brasiliana carica di 20 chilogrammi di cocaina e di 343 marijuana: il mezzo aveva effettuato una sosta nell’estancia dell’allora imprenditore Cartes per caricare un’ulteriore quantità di droga e decollare verso il Brasile.
COLOMBIA
“Come spiegare ai contadini colombiani che coltivare la droga è illegale quando in altri Paesi viene legalizzata“: così il presidente colombiano Juan Manuel Santos ha presentato questo paradosso davanti al Forum mondiale economico di Davos, in Svizzera, ed ha ipotizzato un coordinamento internazionale.
“Come posso dire al contadino che coltiva la marijuana nelle montagne della Colombia che dovrà andare in prigione, quando fumare della marijuana è legale negli Stati del Colorado e di Washington?” ha dichiarato Santos nell’ambito di un dibattito sulle droghe in presenza dei responsabili politici ed economici riuniti a Davos.
“Dobbiamo affrontare questo problema a livello internazionale perché altrimenti lo dovremo spostare da un luogo ad un altro”.
Santos ha anche ricordato che l’Organizzazione degli Stati Americani (OEA), che raggruppa tutti i Paesi del continente con l’eccezione di Cuba, ha dato mandato per esaminare a fondo la questione della legalizzazione in un contesto di lotta al narcotraffico.
L’OEA, nel 2012, aveva approvato un documento in cui rilevava che i metodi tradizionali di repressione dei cartelli della droga, tipici della lotta messa in atto dagli Usa, non avevano dato i risultati sperati. Un mezzo efficace, secondo il presidente colombiano, è la confisca dei beni dei baroni della droga, ma “il segreto bancario è un ostacolo”. A maggio del 2013 l’ OEA ha pubblicato un rapporto in cui invita a studiare una eventuale legalizzazione della cannabis, come contrattacco al traffico, iniziativa sostenuta notoriamente dall’ex-presidente messicano Vicente Fox (destra).
Per Santos, prima di prendere una decisione sulla legalizzazione, conviene studiare tutti gli aspetti, inclusi quelli di sanità pubblica, perché “la marijuana è diversa dalla cocaina, e la cocaina è diversa dall’eroina”.
Anche il presidente dell’Equador, Rafael Correa, in una conferenza stampa a Quito questa settimana, ha anch’egli perorato “una discussione più approfondita”.
NORD AMERICA
CANADA
Il Canada ha una legislazione molto dettagliata sul consumo, il trasporto, la coltivazione e la vendita di droghe leggere. La cannabis è illegale, ma il suo utilizzo può essere autorizzato dal Governo per usi farmacologici e industriali, previa apposita licenza. Stessa cosa vale per la coltivazione di erba, che può essere fatta solo se si dimostra che viene utilizzata con finalità mediche.
STATI UNITI
Negli Stati Uniti esiste una situazione di illegalità a livello federale e di legalità in alcuni Stati, come il Colorado, che da poco ha inaugurato il mercato della cannabis , Washington e la città di Portland nel Maine, dove ancora la marijuana non si vende, ma il processo legislativo per la sua legalizzazione è alle battute finali. In più, negli Usa le droghe leggere sono state depenalizzate in 14 Stati, a cui si aggiungono le metropoli di Philadelphia, Ann Arbor e Detroit.
Intanto a Wall Street, i titoli legati alle società della marijuana sono letteralmente volati, segnando in alcuni casi, performance di +1300%. Tutto frutto della completa liberalizzazione e del via libera all’uso per scopi terapeutici, caldeggiata dal Presidente Barack Obama, che l’ha definita “non più pericolosa dell’alcol”. Secondo le previsioni, il mercato potrebbe crescere quest’anno del 64% a oltre 2,3 miliardi di dollari, per arrivare nell’arco di un quinquennio a valore circa 10 miliardi di dollari.
Potevano restare indifferenti gli operatori borsistici a questo dettaglio? La borsa americana ha fatto incendiare i titoli legati a questo business, anche al di là di quello che sarebbe giustificato da questi tassi di espansione del settore. Il Cannabis index ha segnato da inizio anno un rialzo del 256% ed è composto da società, quotate nel mercato “over the counter”, che operano in tutta la filiera: dalla coltivazione, alla produzione, al commercio, alla ricerca. Così si possono citare i casi della FusionPharm che è volata del 1300%, o di Terra Tech che è balzata di oltre il 500%. Si tratta però di titoli di società con una bassissima capitalizzazione, dunque, una elevatissima volatilità. Il rialzo di questi giorni potrebbe giustificare il crollo di domani.
I difensori di questa industria stanno già facendo comunque previsioni ottime. Il guadagno annuale da marijuana, per il 2018, potrebbe oscillare tra 4.500 e 6.000 milioni di Usd in tutti gli Stati Uniti; un forte aumento rispetto ai 1.300/1.500 milioni di Usd del 2013, secondo alcune proiezioni di MMJ Business Daily, una pubblicazione online che si occupa delle aziende.
ArcView Group, una rete di investitori con sede in San Francisco e che è specializzata nell’industria della cannabis, stima che il mercato statunitense di marijuana legale crescerà del 64% a 2.340 milioni di Usd nel 2014, e nei successivi cinque anni arriverà a 10.00 milioni di Usd.
“Senza dubbi si possono guadagnare soldi”, dice Beau Kilmer, codirettore di RAND – Drug Policy Research Center, un’organizzazione di ricerca senza scopo di lucro che studia temi e tendenze relative alle droghe. Sommando le vendite legali ed illegali, stima che “l’attuale spesa al dettaglio per la marijuana in Usa e’ di decine di migliaia di milioni di dollari”, e “si prevede che un mercato completamente legale genererà migliaia di milioni di dollari di introiti”.
Ma Kilmer -e alcuni funzionari statali- sostengono che è impossibile prevedere un mercato così ancora poco sperimentato. Gran parte del consumo attuale di marijuana illegale riesce a far guadagnare coltivatori e venditori pur col rischio di arresto e carcerazione. E scomparirà se si legalizza -dice Kilmer. E se la marijuana potrà essere coltivata apertamente, come altri prodotti agricoli, i prezzi caleranno di più con le economie di scala. “In questo momento, nessuno sa nulla con certezza”.
Nel frattempo, gli imprenditori della cannabis devono affrontare ostacoli che altri business avviati non conoscono. Banche, padroni di casa, leader della comunità -incluse le famiglie degli imprenditori- spesso disapprovano queste iniziative. E’ difficile che questi business trovino i luoghi in cui operare, ottenere il denaro di cui hanno bisogno nonché sentirsi completamente sicuri nel business stesso.
Attualmente, 20 Stati e il Distretto di Colombia consentono in Usa l’uso della marijuana a fini medici, e ci sono iniziative in corso per la legalizzazione in altri luoghi, incluso lo Stato di New York. Ma in Colorado e Washington sono andati più avanti con il progetto di trasformare la cannabis in una industria di massa.
I difensori della marijuana in questi due Stati valutano che ci sarà una gran quantità di consumatori che risponderà agli sforzi del mercato. Molte persone estranee a questo ambiente sono già entrate nel business, sostengono alcuni impresari industriali. “In realtà è affascinante la quantità di investitori che oggi chiedono di esser parte di questo ambito. Molti lo vedono come la prossima grande industria statunitense”, dice Jay Czarkowski, cofondatore del dispensario di marijuana medica Boulder Kind Care e attualmente socio e dirigente di Canna Advisors, un ufficio di consulenza di Boulder, nello Stato del Colorado, che aiuta chi vuole aprire imprese di marijuana.
Brendan Kennedy, cofondatore di Privateer Holdings, un’azienda di investimenti di Seattle che si sta concentrando sulle imprese di cannabis, sostiene che le proposte che riceve di potenziali investimenti, “sono sempre molto più professionali negli ultimi tre anni”.
Altri esperti e funzionari consigliano cautela per la speculazione sulle prospettive di questa industria. Brian White, portavoce del Consiglio di Controllo sulle Bevande Alcooliche dello Stato di Washington, dice che il proprio Stato spera che la cannabis legale possa convertirsi in una fonte significativa di guadagni. Ma dice anche che “non c’e’ nessuna certezza di quanto si guadagnerà con la vendita di marijuana legale. La nostra legislatura non ha registrato guadagni dalle vendite”.
ISRAELE
Veniamo ad Israele, considerandolo un continente a parte, un mondo in cui i problemi vengono affrontati con modernità ed agilità, senza tanti pregiudizi morali e dissertazioni filosofiche ma pratiche e di impatto sociale, economico e sanitario per la popolazione.
Israele ha lanciato una nuova campagna per facilitare l’uso della cannabis terapeutica grazie ad Internet, che consentirà a migliaia di pazienti di sollecitare il permesso da parte delle autorità e ricevere la sostanza a domicilio.
Quasi sconosciuta dalla maggior parte delle persone, l’industria medica della cannabis ha registrato negli ultimi dieci anni un notevole impulso in Israele, soprattutto per i progressi e le scoperte nell’ambito della ricerca grazie all’appoggio delle autorità.
Il ministero della Sanità ne stimola il consumo medico fin dal 1995, quando il consumo per fini ricreativi è stato vietato, e negli ultimi anni più di 17.000 pazienti ne hanno beneficiato nei diversi trattamenti, anche se il consumo terapeutico e’ considerato come l’ultima cosa a cui ricorrere in alternativa alla medicina tradizionale.
Il ministero ha dato impulso questa settimana a lanciare online la nuova campagna in modo da rendere più agevoli le interminabili procedure burocratiche a cui oggi si devono sottomettere i pazienti per ricevere le proprie dosi. In questo modo, con un click del mouse, coloro ai quali e’ stato raccomandato l’uso terapeutico della cannabis, potranno ottenere in breve, anche nello stesso giorno, il benestare di una équipe specializzata e ricevere la sostanza a casa loro senza doversi recare nei centri di distribuzione.
“L’obiettivo è che per la fine dell’anno o l’inizio del 2015, si possa far riferimento ad un sistema centralizzato e ben funzionante che permetterà alle farmacie di dispensare la marijuana terapeutica”, spiega Mijael Dor, responsabile dell’équipe del dipartimento del ministero della Sanità incaricato di rendere pratico l’uso della cannabis.
Una trentina di specialisti sta già lavorano per le autorizzazioni agli attuali 14.000 pazienti, in collaborazione con 20 ospedali e 10 centri di produzione di marijuana ad un livello accettabile per fini medici.
“Chiediamo che il Governo centralizzi il lavoro di ricerca e distribuzione, in un quartier generale dove si possano installare laboratori funzionanti per un controllo sulla qualità”, ha detto il capo dei medici.
I medici che ne raccomandano l’uso sono oncologi, specialisti del dolore, reumatologi e talvolta anche i medici di famiglia possono prescriverne l’uso a pazienti che secondo loro non hanno altre possibilità di cura.
I trattamenti servono a combattere problemi neurologici cronici come la sclerosi multipla, Parkinson, dolori cronici per malattie come il cancro, fibromialgie o amputazioni, ai quali si aggiungono problemi legati all’alimentazione come l’anoressia e altre complicazioni alimentari, dove la funzione della cannabis è quella di stimolare l’appetito.
Specialisti del ministero della Sanità insegnano al paziente come usare la droga, che si può fumare, inalare, ingerire in forma di biscotti per i più piccoli o con delle gocce, fino ad ungersi con una crema cutanea.
Le terapie con la marijuana sono diventate più importanti e nelle ultime settimane 400 persone sono state autorizzate, compreso l’ospedale Tel Hashomer di Tel Aviv che ha fatto sapere che non farà più ricette se non dopo esplicita richiesta medica.
Gli specialisti fanno sapere che la cannabis non è una “bacchetta magica” per tutto il mondo, e neanche per ogni caso specifico, e che comunque ha degli effetti secondari.
“Abbiamo delle conoscenze limitate e cerchiamo di raccogliere dati. Siamo all’inizio di un percorso e cerchiamo di stabilire guide cliniche per sapere cosa fare in ogni caso specifico”, dice Dor.
Uno dei principali ostacoli che deve affrontare la comunità medica e’ che la marijuana non è una medicina di cui si conoscano tutti i suoi benefici, in parte per la mancanza di disponibilità delle case farmaceutiche a fare ricerche su una sostanza di uso comune per 6.000 anni.
Rafael Mechoulam, lo scienziato israeliano che e’ stato in grado di isolare nel 1964 il THC (Delta-9 TetraHidroCannabinol), il principale principio attivo della marijuana, sostiene che i medici non hanno familiarità con questa sostanza perché non e’ stata sufficientemente sperimentata, nonostante sia raccomandata per i trattamenti di molte malattie. E fa notare il paradosso che anche se e’ stato esteso l’uso medico della pianta, i componenti THC e CBD (cannabidiol) non sono considerati come farmaci.
“A parte alcuni studi limitati, la maggior parte delle ricerche sono state fatte in vitro e con animali”, lamenta questo professore della Università ebraica di Gerusalemme, che ha anche una laurea honoris causa all’università Complutense di Madrid.
Secondo Dior, l’alta domanda porterà finalmente a nuovi modi di consumo e licenze mediche: “Ci sono vari laboratori in Israele che stanno trattando la pianta per trasformarla in un farmaco che possa essere inalato. Sono ottimista”.
Amilcare Caselli