ROMA – In Italia non si è mai sequestrata così tanta cocaina come negli ultimi due anni: con oltre 12 tonnellate di polvere bianca, il 2011-2012 è il biennio che fa segnare un record assoluto. La cocaina intercettata dalle forze dell’ordine dal gennaio 2011 a dicembre 2012 è circa il 16 per cento di tutta la cocaina sequestrata in Italia dal 1971 ad oggi (circa 77.280 kg). E’ quanto emerge dai dati diffusi mese per mese dalla Direzione centrale dei servizi antidroga italiani e analizzati da Redattore Sociale. Analizzando i dati della Dcsa, infatti, emerge come nel 2012 siano state sequestrate ben 5.976,5 kg di cocaina, contro i 6.238 kg del 2011, anno che ha fatto segnare un picco negli ultimi 17 anni. Dai dati ufficiali, inoltre, emerge anche che il trend generale dei sequestri di cocaina è in aumento. Se negli anni 80 si sequestravano non più di 300-400 kg di cocaina, negli anni 90 si è passati a circa una tonnellata, nei primi anni del nuovo millennio si superavano le 2 tonnellate, per salire negli ultimi anni a 3 o 4 tonnellate, fino alle 6 tonnellate l’anno degli ultimi due anni. L’anno del record assoluto, però, è il 1994 (6,6 tonnellate) a causa di un singolo sequestro con numeri del tutto fuori dalla media di quegli anni avvenuto a Borgaro, in provincia di Torino, ai danni di alcune ‘ndrine. L’operazione Cartagine ha permesso di intercettare in un colpo solo 5.466 kg di cocaina. Per l’Italia, il più grande sequestro di cocaina di tutti i tempi. L’impennata dei sequestri, però, non trova un andamento analogo nel numero di operazioni messe a segno dalle forze dell’ordine. Negli ultimi 20 anni, infatti, il numero complessivo delle operazioni antidroga non è variato più di tanto, oscillando intorno alle 2 mila operazioni l’anno, 19.225 nel 2012. In crescita, per quanto riguarda il 2012, anche i sequestri di cannabis e eroina. Per quanto riguarda la cannabis, infatti, lo scorso anno sono state sequestrate circa 40 tonnellate (40.525,4 kg), contro le 28 tonnellate circa del 2011, le 23 del 2010 e le 21 del 2009. Un dato in aumento nell’ultimo periodo, ma che torna a ricalcare l’andamento dei tardi anni 90 e l’inizio del 2000, quando si sequestravano dalle 40 alle 60 tonnellate di cannabis. Anno record per la cannabis è il 1999, con oltre 68 tonnellate di sostanza stupefacente sequestrata. Per l’eroina, invece, nel 2012 ne sono stati sequestrati ben 894,8 kg, contro i 640,7 del 2011. Anche in questo caso, nonostante l’aumento dell’ultimo anno, il trend complessivo vede i sequestri in diminuzione rispetto agli ultimi vent’anni. L’anno record per l’eroina, invece, è il 2003 con oltre 2,3 tonnellate di eroina sottratte allo spaccio. (Giovanni Augello) Redattore Sociale
La legislazione che regola il possesso, l’utilizzo e la coltivazione della cannabis varia a seconda delle diverse aree del mondo. Nella maggior parte del pianeta possedere marijuana è illegale, ma ci sono gradi di “tolleranza” come in Cambogia, Belize e Brasile, mentre in Europa alla rigidità di Germania Francia Grecia Svezia Finlandia Gran Bretagna Irlanda e Italia si oppone il caso olandese e anche l’esperienza della Spagna, ma sopratutto quella del Portogallo. Vedremo insieme da questo ampio panorama, in continuo sviluppo e fermento, i vari approcci, da quello ormai obsoleto e proibizionista alla depenalizzazione con i suoi primi effetti; dai progetti del SudAmerica nel tentativo di togliere terreno e soldi ai narcos ai progetti finanziari ed economici del mercato negli USA fino all’esperienza di Israele, che col solito sguardo pragmatico, rivolge le attenzioni al famoso “principio attivo” (il THC) ed ai suoi possibili, e molto remunerativi, brevetti farmaceutici futuri.
EUROPA la cannabis è totalmente illegale in Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Irlanda, Grecia e Finlandia. L’Olanda è l’unico Paese dell’Ue che ha depenalizzato il possesso, la vendita, il trasporto e la coltivazione della cannabis. Il che non equivale giuridicamente all’aver legalizzato la marijuana, che è considerata comunque illegale, ma può essere venduta da gestori autorizzati e controllati dallo Stato, come i coffee shop, o essere coltivata per uso personale senza incappare nell’arresto. In Spagna è legale coltivare o fumare cannabis all’interno delle mura domestiche ma è illegale trasportare droghe leggere o fumarle in luoghi pubblici. In Svizzera è illegale la vendita e l’utilizzo di droghe leggere, ma il possesso è stato depenalizzato e la coltivazione è legale in alcuni Cantoni. in Belgio la marijuana è illegale, ma sono stati depenalizzati il possesso e la coltivazione. la Russia ha depenalizzato il possesso, il trasporto e la coltivazione della cannabis, ma è un crimine venderla. Se si viene fermati con addosso fino a 6 grammi di cannabis o 2 di hashish si può essere multati; una quantità maggiore fa scattare le manette. Lo stesso dicasi per la coltivazione: si possono coltivare fino a 20 piante di ma se si viene scoperti si rischia una multa, in galera dalla 21°pianta. Il Portogallo dal 2001 (è stato il primo Paese al mondo) ha depenalizzato l’utilizzo di ogni genere di droga, anche se è possibile essere arrestati o inviati in centri di riabilitazione se si viene trovati più volte in possesso di sostanze stupefacenti. Per essere portati in carcere bisogna farsi trovare con una dose che supera il fabbisogno individuale di droga di dieci giorni, che è di 25 grammi se parliamo di erba e di 5 grammi di hashish. In Portogallo tutto era iniziato negli anni Ottanta, quando l’eroina a buon mercato proveniente da Afghanistan e Pakistan aveva iniziato a inondare l’Europa. In Portogallo la diffusione fu vastissima: a metà degli anni Novanta il numero di tossicodipendenti gravi era arrivato a 100 mila, l’1% della popolazione totale, e il dato di coloro che avevano contratto epatiti o HIV era notevolmente superiore a quello di molti altri paesi. Il governo portoghese comprese allora che bisognava arginare il problema e convocò una commissione anti-droga composta da 11 esperti, per la maggior parte non politici, tra cui Joao Goulão. La commissione si orientò essenzialmente attorno al presupposto che “i consumatori di droghe non sono criminali ma malati”, e che la materia avrebbe dovuto essere competenza del ministero della Salute e non più di quello della Giustizia. L’approccio che ha costituito la base principale dell’esperimento in Portogallo è stato dunque questo: i consumatori di droga non sono dei criminali e non devono essere trattati come criminali, quindi arrestati o processati (prima della depenalizzazione in Portogallo la pena per possesso di droga poteva arrivare fino a un anno di prigione). Venne così approvata la legge 30/2000, che ha depenalizzato l’uso di tutte le droghe illecite e ha fissato, attraverso una tabella, il loro possesso fino a quantità pari ai bisogni di dieci giorni di consumo: 25 grammi di marijuana, 5 grammi di hashish, un grammo di eroina, 2 grammi di cocaina e un grammo di MDMA, il principio attivo dell’ecstasy. Le sostanze elencate nella tabella restano ancora illegali – “ci sarebbero stati problemi con le Nazioni Unite”, racconta Goulão – ma le persone trovate in possesso di sostanze stupefacenti non sono più arrestate, bensì inviate davanti a una commissione formata da un giurista, uno psicologo e un medico (ce ne sono 17 in tutto il Portogallo), chiamata ”Commissione di avvertimento sulle tossicodipendenze”, che valuta il percorso dell’utilizzatore, il suo livello di consumo della sostanza e propone un un sostegno psicologico o l’opportunità di accettare un trattamento di recupero finanziato dallo Stato. Il consumatore non ha l’obbligo di seguire queste indicazioni ma deve evitare di essere inviato nuovamente di fronte alla commissione nell’arco di sei mesi. In caso contrario viene punito penalmente con una multa, variabile da 5000 pesetas (25 euro) fino al livello del salario minimo nazionale. Il Portogallo tratta il problema tossicodipendenza e tossicomania dal punto di vista esclusivamente medico piuttosto che penale: “l’assistenza terapeutica è molto più efficace del carcere nel convincere un tossico a smettere”, così spiega Goulao. Il Portogallo oggi ha uno dei tassi più bassi dell’Unione Europea come consumo di marijuana. Lo stesso dicasi per i tassi di consumo di eroina ed infezioni di HIV scesi oggi a livelli minimi.
ASIA
Cina: droghe leggere completamente illegali, non esiste alcuna depenalizzazione, né per l’uso privato né per la coltivazione. In India la cosiddetta erba è illegale, ma il suo consumo, il trasporto e la vendita sono permessi in casi specifici e previa autorizzazione governativa. In molte città sacre, come Varanasi, il governo controlla negozi che vendono cannabis sotto forma di “bhang”. Il bhang è una bevanda ottenuta mescolando i boccioli di un fiore con la pianta di cannabis, che viene sorseggiata durante dei rituali hindu, per raggiungere uno stato di estasi o nirvana. La legge indiana proibisce l’utilizzo e il possesso di cannabis al di fuori delle manifestazioni religiose, ma è anche vero che la polizia spesso chiude un occhio, tanto è vero che esistono grosse piantagioni di cannabis in tutto il sub-continente indiano. in Iran la legge anti-droghe è leggera. Nella Repubblica islamica, dove comunque il consumo di cannabis non supera il 2% , coltivare l’erba è legale se viene fatto per scopi alimentari. I semi di cannabis sono solitamente mangiati dagli iraniani e se ne ricava dell’olio che viene venduto legalmente. In Giappone non c’è depenalizzazione e la cannabis è illegale sempre e comunque, sia che se ne faccia uso personale sia che la si coltivi dentro le mura domestiche. La Cambogia invece ha un regime ambiguo. Da una parte le droghe leggere sono formalmente illegali, ma di fatto non si incorre in nessuna sanzione se utilizzate, coltivate o distribuite. La cannabis viene chiamata dai cambogiani “erba della felicità”, ed è molto comune trovare locali dove i cartelli all’entrata indicano la vendita della marijuana, o di altre sostanze stupefacenti per così dire “naturali”. Corea del Nord: di quello che succede nella Corea comunista filtra ben poco all’esterno, ma diversi esperti sostengono che a Pyongyang la cannabis non viene trattata in modo illegale. Non si ha certezza che l’erba sia legale in Corea del Nord, ma – almeno a giudicare dalle immagini dei satelliti – esistono ampie coltivazioni di cannabis, il che fa credere che la vendita e il consumo siano autorizzati.
AMERICA LATINA dopo tutto il gran parlare di legalizzazioni in Sud America solo l’Uruguay ha davvero legalizzato completamente la cannabis. Esiste una legislazione più flessibile in Colombia e Messico, dove le droghe leggere sono illegali, ma il loro consumo è stato depenalizzato. Linea dura, invece, in tutti gli altri Stati sudamericani, anche se in Belize e in Brasile, nonostante il divieto e le leggi ferree, le maglie sono molto larghe ed esiste una tolleranza diffusa al consumo di cannabis.
URUGUAY Recentemente il Senato dell’Uruguay ha approvato una legge, voluta fortemente dal presidente “contadino” José Mujica, che regola la produzione, la distribuzione e la vendita della marijuana, confermando il voto favorevole della Camera dello scorso 31 luglio. L’Uruguay è diventato il primo paese di tutto il mondo ad approvare una norma di questo tipo. La discussione al Senato è stata molto accesa e la votazione finale è arrivata solo dopo 12 ore di dibattito. La legge permette a tutti i maggiorenni di coltivare la marijuana in casa con il limite massimo di 6 piante di canapa e una produzione annuale di marijuana che non può superare i 480 grammi. È permessa anche la coltivazione promossa da associazioni con un numero di soci compreso tra i 15 e i 45: in questo caso il limite del numero di piante di canapa consentito è di 99. Le farmacie autorizzate potranno vendere fino a un massimo di 40 grammi al mese per ciascun acquirente, che dovrà però annotarsi preventivamente in un registro obbligatorio. Il governo dovrebbe offrire una marijuana più economica e di migliore qualità rispetto a quella che si può ottenere sul mercato illegale: la Junta Nacional de Drogas dell’Uruguay ha detto che la marijuana potrebbe essere venduta a un dollaro al grammo (la decisione definitiva spetta al governo). La legge è stata sostenuta dal governo del presidente José Mujica come parte di un grande sforzo legislativo per cercare di ridurre il consumo delle droghe e combattere i profitti illeciti della criminalità organizzata. Il partito di centrosinistra al governo, il Frente Amplio, ha spiegato alla Camera che la legge vuole minimizzare i rischi e ridurre i danni dell’uso di cannabis, sostanza che rappresenta l’80 per cento del totale delle droghe diffuse in Uruguay e il cui uso – stima il governo – riguarda 120mila persone (secondo alcune associazioni uruguaiane i consumatori sarebbero molti di più, circa 200mila). In Uruguay fino a questo momento era permesso il consumo di marijuana, ma non la sua produzione e vendita. Secondo i sostenitori della legge, questa situazione aveva fatto sì che molti consumatori si rivolgessero al mercato illegale per rifornirsi della sostanza. Roberto Conde, senatore del Frente Amplio, ha detto che la legge vuole trovare un equilibrio tra la libertà dell’individuo e la sua integrità fisica e ha aggiunto: «Non si tratta di creare un mercato della marijuana, ma di regolare quello che ora è in mano ai narcotrafficanti». La legge è anche l’ultima di una serie di leggi molto liberali approvate dal parlamento uruguaiano nel corso dell’ultimo anno, come quella della depenalizzazione dell’aborto e della legalizzazione dei matrimoni gay. Mujica comunque ha spiegato che la legge è un “esperimento” e di essere pronto a rivederla nel caso in cui non dia i risultati sperati.
PARAGUAY caso diametralmente opposto il Paraguay: “La marijuana è il primo punto di contatto con le altre droghe, quindi sono contrario alla legalizzazione”. Così Horacio Cartes, presidente del Paraguay, Paese produttore di gran parte della cannabis fumata in Uruguay, che ha lanciato un mercato legalizzato della marijuana nella speranza di combattere il traffico illegale. Cartes ha poi aggiunto di avere visto ex compagni di liceo “soffrire e morire” a causa degli effetti della marijuana, che allo stesso modo fa soffrire anche gli altri. Per quanto riguarda la produzione di marijuana nelle Americhe, ha detto il capo del dipartimento anti droga paraguayano Luis Rojas, il Paraguay è secondo solo al Messico.Horacio Cartes il narcopresidente del Paraguay, paese dove sono prodotte annualmente 48.000 tonnellate di marijuana,che è il secondo produttore mondiale di marijuana dopo il Messico. Le maggiori aziende, tra le altre, di Horacio Cartes (che è miliardario) sono Tabacalera del Este S.A. e Tabacos del Paraguay S.A. . Inoltre è proprietario del Club Libertad, squadra di calcio che ha vinto per sette volte il campionato paraguayano, e possiede diverse imprese agroganaderas, aziende alimentari e di abbigliamento, oltre al Banco Amambay (i traffici poco chiari per questa banca hanno rivelato che l’attuale presidente paraguayano ha contatti con i narcos) Cartes sarebbe a capo di una grande impresa volta a riciclare denaro sporco per le mafie del continente latinoamericano. Nel 2000 la Secretaría Nacional Antidrogas scoprì che nell’estancia Nueva Esperanza, di sua proprietà, era atterrata un’aeronave brasiliana carica di 20 chilogrammi di cocaina e di 343 marijuana: il mezzo aveva effettuato una sosta nell’estancia dell’allora imprenditore Cartes per caricare un’ulteriore quantità di droga e decollare verso il Brasile.
COLOMBIA “Come spiegare ai contadini colombiani che coltivare la droga è illegale quando in altri Paesi viene legalizzata“: così il presidente colombiano Juan Manuel Santos ha presentato questo paradosso davanti al Forum mondiale economico di Davos, in Svizzera, ed ha ipotizzato un coordinamento internazionale. “Come posso dire al contadino che coltiva la marijuana nelle montagne della Colombia che dovrà andare in prigione, quando fumare della marijuana è legale negli Stati del Colorado e di Washington?” ha dichiarato Santos nell’ambito di un dibattito sulle droghe in presenza dei responsabili politici ed economici riuniti a Davos. “Dobbiamo affrontare questo problema a livello internazionale perché altrimenti lo dovremo spostare da un luogo ad un altro”. Santos ha anche ricordato che l’Organizzazione degli Stati Americani (OEA), che raggruppa tutti i Paesi del continente con l’eccezione di Cuba, ha dato mandato per esaminare a fondo la questione della legalizzazione in un contesto di lotta al narcotraffico. L’OEA, nel 2012, aveva approvato un documento in cui rilevava che i metodi tradizionali di repressione dei cartelli della droga, tipici della lotta messa in atto dagli Usa, non avevano dato i risultati sperati. Un mezzo efficace, secondo il presidente colombiano, è la confisca dei beni dei baroni della droga, ma “il segreto bancario è un ostacolo”. A maggio del 2013 l’ OEA ha pubblicato un rapporto in cui invita a studiare una eventuale legalizzazione della cannabis, come contrattacco al traffico, iniziativa sostenuta notoriamente dall’ex-presidente messicano Vicente Fox (destra). Per Santos, prima di prendere una decisione sulla legalizzazione, conviene studiare tutti gli aspetti, inclusi quelli di sanità pubblica, perché “la marijuana è diversa dalla cocaina, e la cocaina è diversa dall’eroina”. Anche il presidente dell’Equador, Rafael Correa, in una conferenza stampa a Quito questa settimana, ha anch’egli perorato “una discussione più approfondita”.
NORD AMERICA
CANADA Il Canada ha una legislazione molto dettagliata sul consumo, il trasporto, la coltivazione e la vendita di droghe leggere. La cannabis è illegale, ma il suo utilizzo può essere autorizzato dal Governo per usi farmacologici e industriali, previa apposita licenza. Stessa cosa vale per la coltivazione di erba, che può essere fatta solo se si dimostra che viene utilizzata con finalità mediche.
STATI UNITI Negli Stati Uniti esiste una situazione di illegalità a livello federale e di legalità in alcuni Stati, come il Colorado, che da poco ha inaugurato il mercato della cannabis , Washington e la città di Portland nel Maine, dove ancora la marijuana non si vende, ma il processo legislativo per la sua legalizzazione è alle battute finali. In più, negli Usa le droghe leggere sono state depenalizzate in 14 Stati, a cui si aggiungono le metropoli di Philadelphia, Ann Arbor e Detroit. Intanto a Wall Street, i titoli legati alle società della marijuana sono letteralmente volati, segnando in alcuni casi, performance di +1300%. Tutto frutto della completa liberalizzazione e del via libera all’uso per scopi terapeutici, caldeggiata dal Presidente Barack Obama, che l’ha definita “non più pericolosa dell’alcol”. Secondo le previsioni, il mercato potrebbe crescere quest’anno del 64% a oltre 2,3 miliardi di dollari, per arrivare nell’arco di un quinquennio a valore circa 10 miliardi di dollari. Potevano restare indifferenti gli operatori borsistici a questo dettaglio? La borsa americana ha fatto incendiare i titoli legati a questo business, anche al di là di quello che sarebbe giustificato da questi tassi di espansione del settore. Il Cannabis index ha segnato da inizio anno un rialzo del 256% ed è composto da società, quotate nel mercato “over the counter”, che operano in tutta la filiera: dalla coltivazione, alla produzione, al commercio, alla ricerca. Così si possono citare i casi della FusionPharm che è volata del 1300%, o di Terra Tech che è balzata di oltre il 500%. Si tratta però di titoli di società con una bassissima capitalizzazione, dunque, una elevatissima volatilità. Il rialzo di questi giorni potrebbe giustificare il crollo di domani. I difensori di questa industria stanno già facendo comunque previsioni ottime. Il guadagno annuale da marijuana, per il 2018, potrebbe oscillare tra 4.500 e 6.000 milioni di Usd in tutti gli Stati Uniti; un forte aumento rispetto ai 1.300/1.500 milioni di Usd del 2013, secondo alcune proiezioni di MMJ Business Daily, una pubblicazione online che si occupa delle aziende. ArcView Group, una rete di investitori con sede in San Francisco e che è specializzata nell’industria della cannabis, stima che il mercato statunitense di marijuana legale crescerà del 64% a 2.340 milioni di Usd nel 2014, e nei successivi cinque anni arriverà a 10.00 milioni di Usd. “Senza dubbi si possono guadagnare soldi”, dice Beau Kilmer, codirettore di RAND – Drug Policy Research Center, un’organizzazione di ricerca senza scopo di lucro che studia temi e tendenze relative alle droghe. Sommando le vendite legali ed illegali, stima che “l’attuale spesa al dettaglio per la marijuana in Usa e’ di decine di migliaia di milioni di dollari”, e “si prevede che un mercato completamente legale genererà migliaia di milioni di dollari di introiti”. Ma Kilmer -e alcuni funzionari statali- sostengono che è impossibile prevedere un mercato così ancora poco sperimentato. Gran parte del consumo attuale di marijuana illegale riesce a far guadagnare coltivatori e venditori pur col rischio di arresto e carcerazione. E scomparirà se si legalizza -dice Kilmer. E se la marijuana potrà essere coltivata apertamente, come altri prodotti agricoli, i prezzi caleranno di più con le economie di scala. “In questo momento, nessuno sa nulla con certezza”. Nel frattempo, gli imprenditori della cannabis devono affrontare ostacoli che altri business avviati non conoscono. Banche, padroni di casa, leader della comunità -incluse le famiglie degli imprenditori- spesso disapprovano queste iniziative. E’ difficile che questi business trovino i luoghi in cui operare, ottenere il denaro di cui hanno bisogno nonché sentirsi completamente sicuri nel business stesso. Attualmente, 20 Stati e il Distretto di Colombia consentono in Usa l’uso della marijuana a fini medici, e ci sono iniziative in corso per la legalizzazione in altri luoghi, incluso lo Stato di New York. Ma in Colorado e Washington sono andati più avanti con il progetto di trasformare la cannabis in una industria di massa. I difensori della marijuana in questi due Stati valutano che ci sarà una gran quantità di consumatori che risponderà agli sforzi del mercato. Molte persone estranee a questo ambiente sono già entrate nel business, sostengono alcuni impresari industriali. “In realtà è affascinante la quantità di investitori che oggi chiedono di esser parte di questo ambito. Molti lo vedono come la prossima grande industria statunitense”, dice Jay Czarkowski, cofondatore del dispensario di marijuana medica Boulder Kind Care e attualmente socio e dirigente di Canna Advisors, un ufficio di consulenza di Boulder, nello Stato del Colorado, che aiuta chi vuole aprire imprese di marijuana. Brendan Kennedy, cofondatore di Privateer Holdings, un’azienda di investimenti di Seattle che si sta concentrando sulle imprese di cannabis, sostiene che le proposte che riceve di potenziali investimenti, “sono sempre molto più professionali negli ultimi tre anni”. Altri esperti e funzionari consigliano cautela per la speculazione sulle prospettive di questa industria. Brian White, portavoce del Consiglio di Controllo sulle Bevande Alcooliche dello Stato di Washington, dice che il proprio Stato spera che la cannabis legale possa convertirsi in una fonte significativa di guadagni. Ma dice anche che “non c’e’ nessuna certezza di quanto si guadagnerà con la vendita di marijuana legale. La nostra legislatura non ha registrato guadagni dalle vendite”.
ISRAELE Veniamo ad Israele, considerandolo un continente a parte, un mondo in cui i problemi vengono affrontati con modernità ed agilità, senza tanti pregiudizi morali e dissertazioni filosofiche ma pratiche e di impatto sociale, economico e sanitario per la popolazione. Israele ha lanciato una nuova campagna per facilitare l’uso della cannabis terapeutica grazie ad Internet, che consentirà a migliaia di pazienti di sollecitare il permesso da parte delle autorità e ricevere la sostanza a domicilio. Quasi sconosciuta dalla maggior parte delle persone, l’industria medica della cannabis ha registrato negli ultimi dieci anni un notevole impulso in Israele, soprattutto per i progressi e le scoperte nell’ambito della ricerca grazie all’appoggio delle autorità. Il ministero della Sanità ne stimola il consumo medico fin dal 1995, quando il consumo per fini ricreativi è stato vietato, e negli ultimi anni più di 17.000 pazienti ne hanno beneficiato nei diversi trattamenti, anche se il consumo terapeutico e’ considerato come l’ultima cosa a cui ricorrere in alternativa alla medicina tradizionale. Il ministero ha dato impulso questa settimana a lanciare online la nuova campagna in modo da rendere più agevoli le interminabili procedure burocratiche a cui oggi si devono sottomettere i pazienti per ricevere le proprie dosi. In questo modo, con un click del mouse, coloro ai quali e’ stato raccomandato l’uso terapeutico della cannabis, potranno ottenere in breve, anche nello stesso giorno, il benestare di una équipe specializzata e ricevere la sostanza a casa loro senza doversi recare nei centri di distribuzione. “L’obiettivo è che per la fine dell’anno o l’inizio del 2015, si possa far riferimento ad un sistema centralizzato e ben funzionante che permetterà alle farmacie di dispensare la marijuana terapeutica”, spiega Mijael Dor, responsabile dell’équipe del dipartimento del ministero della Sanità incaricato di rendere pratico l’uso della cannabis. Una trentina di specialisti sta già lavorano per le autorizzazioni agli attuali 14.000 pazienti, in collaborazione con 20 ospedali e 10 centri di produzione di marijuana ad un livello accettabile per fini medici. “Chiediamo che il Governo centralizzi il lavoro di ricerca e distribuzione, in un quartier generale dove si possano installare laboratori funzionanti per un controllo sulla qualità”, ha detto il capo dei medici. I medici che ne raccomandano l’uso sono oncologi, specialisti del dolore, reumatologi e talvolta anche i medici di famiglia possono prescriverne l’uso a pazienti che secondo loro non hanno altre possibilità di cura. I trattamenti servono a combattere problemi neurologici cronici come la sclerosi multipla, Parkinson, dolori cronici per malattie come il cancro, fibromialgie o amputazioni, ai quali si aggiungono problemi legati all’alimentazione come l’anoressia e altre complicazioni alimentari, dove la funzione della cannabis è quella di stimolare l’appetito. Specialisti del ministero della Sanità insegnano al paziente come usare la droga, che si può fumare, inalare, ingerire in forma di biscotti per i più piccoli o con delle gocce, fino ad ungersi con una crema cutanea. Le terapie con la marijuana sono diventate più importanti e nelle ultime settimane 400 persone sono state autorizzate, compreso l’ospedale Tel Hashomer di Tel Aviv che ha fatto sapere che non farà più ricette se non dopo esplicita richiesta medica. Gli specialisti fanno sapere che la cannabis non è una “bacchetta magica” per tutto il mondo, e neanche per ogni caso specifico, e che comunque ha degli effetti secondari. “Abbiamo delle conoscenze limitate e cerchiamo di raccogliere dati. Siamo all’inizio di un percorso e cerchiamo di stabilire guide cliniche per sapere cosa fare in ogni caso specifico”, dice Dor. Uno dei principali ostacoli che deve affrontare la comunità medica e’ che la marijuana non è una medicina di cui si conoscano tutti i suoi benefici, in parte per la mancanza di disponibilità delle case farmaceutiche a fare ricerche su una sostanza di uso comune per 6.000 anni. Rafael Mechoulam, lo scienziato israeliano che e’ stato in grado di isolare nel 1964 il THC (Delta-9 TetraHidroCannabinol), il principale principio attivo della marijuana, sostiene che i medici non hanno familiarità con questa sostanza perché non e’ stata sufficientemente sperimentata, nonostante sia raccomandata per i trattamenti di molte malattie. E fa notare il paradosso che anche se e’ stato esteso l’uso medico della pianta, i componenti THC e CBD (cannabidiol) non sono considerati come farmaci. “A parte alcuni studi limitati, la maggior parte delle ricerche sono state fatte in vitro e con animali”, lamenta questo professore della Università ebraica di Gerusalemme, che ha anche una laurea honoris causa all’università Complutense di Madrid. Secondo Dior, l’alta domanda porterà finalmente a nuovi modi di consumo e licenze mediche: “Ci sono vari laboratori in Israele che stanno trattando la pianta per trasformarla in un farmaco che possa essere inalato. Sono ottimista”.
Oggi è stata approvata, con larga maggioranza alla Camera, una nuova ed importante misura di contrasto alla povertà: il Sia (sostegno all’inclusione attiva) presentata dalla parlamentare e viceministro modenese Cecilia Guerra che con il collega Edoardo Patriarca hanno lavorato alla stesura della mozione, contiene una serie di impegni per il governo affinché venga messa in campo quella che viene definita una “strategia di lungo respiro per la lotta alla povertà”.
Quindi oggi il governo fa un grande passo in avanti contro il disagio economico crescente. Tra le misure essenziali che l’esecutivo si impegna a realizzare ci sono il reddito di cittadinanza, i vantaggi fiscali per l’assistenza a invalidi, il “fattore famiglia”, il servizio civile e tra gli impegni enumerati dalla mozione, finalmente c’è anche la stabilizzazione dell’istituto del 5 per mille a favore delle organizzazioni no-profit e il contrasto alla diffusione del gioco d’azzardo ” quale forma di prevenzione dell’impoverimento delle famiglie” problema di cui abbiamo scritto anche in precedenti articoli.
“Il tema è cruciale – spiega Edoardo Patriarca – in soli sette anni, dal 2005 al 2012, il numero di italiani che vivono in povertà assoluta è raddoppiato. Parliamo di quasi 5 milioni di persone, l’8% della popolazione. E non si tratta più solo delle famiglie numerose del Sud, il fenomeno riguarda tutto il Paese, con particolare riferimento ai giovani e alle famiglie con più figli. Il non poter più contare su una sicurezza economica legata alla stabilità lavorativa accresce il numero delle persone e delle famiglie considerate a rischio povertà”. Il principale impegno è quello dell’introduzione graduale di una misura nazionale pensata per chi vive in condizioni di povertà assoluta: “Il beneficio – prosegue Patriarca – non deve però ridursi solo a una misura economica, ma deve accompagnarsi a un piano personalizzato volto al reinserimento lavorativo e alla più generale inclusione sociale dell’intero nucleo famigliare”.
Vediamo più da vicino i provvedimenti più significativi che questo governo si è impegnato a concretizzare. Dapprima si dovrà “proseguire nella costruzione di una strategia di lungo respiro per la lotta alla povertà, inserendola tra le priorità delle politiche di governo”, e introdurre gradualmente “una misura nazionale, rivolta a tutte le persone in povertà assoluta nel nostro paese, che si basi su una logica non meramente assistenziale ma che sostenga un atteggiamento attivo dei soggetti beneficiari dell’intervento”. Non solo aiuto economico, specifica la mozione, ma anche “un piano personalizzato” per ciascuna famiglia difficoltà, che favorisca il reinserimento lavorativo e l’inclusione sociale.
La mozione parla anche di “deduzioni e detrazioni fiscali per le spese relative all’assistenza e al sostegno delle famiglie con componenti minori, persone non autosufficienti e anziani”, dell’introduzione tanto attesa dei livelli essenziali delle prestazioni socio-assistenzial e “il punto di arrivo della misura del SIA (reddito minimo di cittadinanza) a regime, identificando una data di arrivo certa per l’universalizzazione dei benefici alla platea degli aventi diritto”.
Altro impegno è quello a favore della famiglia, e in particolare a “valutare, al termine della fase biennale di sperimentazione, la possibilità di rivedere le scale di equivalenza dell’ISEE utilizzando i fattori di correzione suggeriti dall’ISTAT e dall’Osservatorio Nazionale per la Famiglia (fattore famiglia)”; si fa cenno anche al servizio civile volontario, inteso come possibilità “per una persona di mettere le sue capacità a servizio dei soggetti svantaggiati della società”, alla detassazione delle donazioni, ed alla stabilizzazione del 5 per mille, “anche in risposta alle recenti determinazioni della Corte dei Conti e nel rispetto dei vincoli di bilancio, cancellandone il tetto, per assicurare che tutto il ricavato del gettito sia effettivamente allocato secondo le indicazioni dei contribuenti”. Infine, ma non in ordine di importanza, il governo, appoggiando la mozione, dice sì a “contrastare il gioco di azzardo, quale forma di prevenzione dell’impoverimento delle famiglie”.
Il Tar Lombardia oggi dà ragione all’ordinanza del sindaco Brivio per la limitazione dell’orario delle sale slot «in quanto gli apparecchi da gioco vanno considerati strumenti di grave pericolo per la salute individuale e il benessere della popolazione locale»
Virginio Brivio il sindaco di Lecco, ha vinto. Il primo cittadino nel Novembre 2013, aveva stabilito con un’ordinanza approvata dal Consiglio Comunale, la limitazione dell’orario di apertura (dalle 10 alle 24) delle sale slot del territorio comunale. L’atto del sindaco era stato subito impugnato di fronte al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia da due esercenti: Andrea e Antonio Branduardi, proprietari del Bar Baff, a Lecco, noto per l’abbondanza di slot machines, video poker ed un preoccupante e crescente giro di clientela “troppo affezionata”
La buona notizia è arrivata oggi con la sentenza del Tar. Il tribunale infatti ha rigettato il ricorso dando ragione al sindaco Brivio, e fatto ancora più importante, spiegando che la motivazione della sentenza è dovuta alla natura della disciplina in tema di sale da gioco che «non ha, quindi, nulla a che vedere con l’ordine pubblico, in quanto gli apparecchi da gioco sono considerati esclusivamente nel loro aspetto negativo di strumenti di grave pericolo per la salute individuale e il benessere psichico e socio-economico della popolazione locale».
Nessun cenno dunque alla recente legge regionale lombarda sul Gap (gioco d’azzardo patologico) ma una forte motivazione: se le decisioni del primo cittadino sono prese nell’ambito sanitario e per tutelare la salute del cittadino, sono inappellabili.
Un’indicazione importante che segna la strada da percorrere per tutti i territori e per tutti i sindaci. Anche quelli che lavorano in Regioni in cui manca una precipua legislazione regionale.
“Questa ordinanza del Tar è molto importante perché legittima una possibilità di azione del sindaco in materia di contrasto al gioco d’azzardo, valutandone gli impatti negativi dal punto di vista socio-sanitario – afferma il sindaco di Lecco, Virginio Brivio – Poiché mancano leggi chiare a livello nazionale, sulle quali servirebbe un urgente impegno da parte del Parlamento, dopo questa sentenza viene offerto agli enti locali un ambito d’azione per tutelare il benessere delle nostre comunità e arginare un fenomeno sempre più dannoso dal punto di vista sociale”.
A questo punto sono due le possibilità per i primi cittadini di non vedersi rigettate le ordinanze restrittive sulle sale slot e gioco d’azzardo legalizzato: la prima è appellarsi alla legislazione regionale, nel caso vi sia, altrimenti motivare l’atto pubblico con la tutela della salute dei cittadini. – See more at: http://www.ama.coop/news/ludopatia-importante-sentenza-tar-contro-il-gioco-dazzardo-96.html#sthash.7RSXW5DT.dpuf
Mentre in Parlamento continua un dibattito non all’altezza del problema, Daniele Fulli di 28 anni, attivista dei diritti gay, è stato trovato seviziato ed ucciso nel Tevere il 7 di questo primo mese del 2014. Un altro ragazzo omosessuale di 21 anni si è tolto la vita qualche giorno fa in via Casilina, nel quartiere di Torpignattara. Si apre così questo nuovo anno. Uno strano omicidio di un attivista gay e l’ennesimo che ha scelto di suicidarsi lanciandosi da un palazzo. Proprio come aveva fatto, due mesi fa, un suo coetaneo. Anche lui omosessuale. Anche lui nella capitale. Come tanti, troppi prima di lui, ragazzi giovanissimi anche di 14 anni uccisi dal bullismo, dal menefreghismo che è la stessa cosa, che fa dar fuoco ai barboni, che fa pestare i negri, stesso odio immobile e stolido per i diversi, in questi casi giovanissimi omosessuali morti con una lettera sul comodino dopo episodi di razzismo infame. Ma questi, sono solo gli ultimi eventi che hanno visto l’escalation dei comportamenti omofobi che arrivarono ai troppi delitti già dagli scorsi anni. Il fatto vero e crudo, da dire chiaro, è che quando il montare della crisi economica diventa dei valori e quindi culturale, puntuali le più viscerali e primitive paure sociali dei soggetti meno strutturati, emergono e sorreggono la xenofobia di certe estreme destre; xenofobia a tutto tondo però, di paura del diverso in toto si tratta: che sia dei cinesi o dei froci o dei vucumprà o dei terroni. Intolleranza si chiama tutto questo, intolleranza e razzismo nel nome di una nazionalità, o addirittura razza. E’ già successoe sta succedendo. L’intolleranza d’altronde la vediamo anche in politica, come riflesso del senso comune impaurito e confuso di molti. Da qualche anno la violenza verbale è inchiostro quotidiano per i giornalisti parlamentari che mai come in queste ultime legislature hanno riportato tanti insulti, minacce e dichiarazioni di odio. Il pericolo delle soluzioni estreme, violente e populiste c’è. Per questo sembra importante, in momenti come questo, appellarsi alla democrazia, alla testimonianza, alla protesta civile e democratica. E come lo hanno fatto le persone normali lo devono fare le persone socialmente più in vista, gli intellettuali, lasciando la firma, mettendoci la faccia in un manifesto per dire basta, ma per dire anche che le cose cambiano.
Tornando all’omofobia e ai delitti, questi tristi episodi a suo tempo provocarono le reazioni delle associazioni LGBT (lesbiche gay bisessuali e transgender) dapprima per i ritardi cronici della politica sull’omofobia poi tra le altre cose, vede l’apparire di un blog, “Le cose cambiano” http://www.lecosecambiano.org/ in cui, chi vuole, posta il video del proprio intervento; gente normale che vive la propria sessualità e non ha paura di dirlo difronte la webcam. Dire che le cose cambieranno col potere della ragione, della testimonianza e della cultura è importante. Proprio nel web, che sempre più spesso si fa portavoce dei cretini cronici della tastiera, nasce un blog dove fare outing è esserci, raccontarsi. Il raccontarsi è capirsi, che è essenziale per farsi capire davvero. E’ anche un modo civile per dire con calma ma determinatamente no al razzismo. Va detto per la verità che questo videoblog nasce dapprima negli States, col progetto di Obama “it gets better” e Dan Savage e Terry Miller che ne cureranno un libro di storie di personaggi famosi e noti scrittori che ci raccontano la loro personale storia omosessuale.
Dopo il clamore negli States la cosa approda Italia ed il blog prende il nome di “Le cose cambiano”, ad Ottobre anch’esso è diventato un libro: lo stesso titolo, promosso da ISBN edizioni (pg 320, euro 7,90) e col sostegno del Corriere Della Sera, il ricavato andrà alla no profit “girls&boys” http://www.isbnedizioni.it/libro/293 .
Tra gli autori dei racconti originali e sopratutto veri, trovi politici, sceneggiatori ed altri personaggi famosi italiani come altri autori americani rimasti dalla precedente edizione d’oltreoceano, e non si possono non notare scrittori come Aldo Busi, o Walter Siti fresco di Strega, o Alcide Pierantozzi, forse il più promettente, se non già una sicurezza, tra i giovani letterati italiani. e Proprio Pierantozzi è molto attivo sui social nella promozione del progetto. Un libro di racconti, esperienze, con tanto di nome e cognome, della sessualità vissuta con sicurezza magari dopo momenti di disperazione, di lotta e di successo. Per dire a quelli che si sentono soli che non lo sono. Che cambiare è possibile.
Il portavoce di Gay Center ha dati dati statistici allarmanti, almeno un omosessuale su dieci ha pensato al suicidio. Aurelio Mancuso, presidente Equality Italia aggiunge: “Nonostante il gran parlare di leggi, azioni, promesse, nulla di davvero sostanziale si fa per aiutare concretamente, soprattutto i giovani e giovanissimi omosessuali a vivere con serenità il proprio orientamento sessuale”.
Allora dobbiamo darci da fare noi che non abbiamo paura, che sappiamo che “le cose cambiano”, e oltre a comprare e leggere il libro, per sostenere anche idealmente il progetto, ISBN edizioni invita chi vuole a usare la copertina del libro come immagine del proprio profilo Twitter o Facebook, che potete scaricare dal profilo ufficiale https://twitter.com/le_cosecambiano o dalla relativa pagina di Fbook.
Con il progetto “Il mondo di Masih” la cooperativa Ama-Aquilone, sostiene il piccolo villaggio sperduto di Sucuso, in Ecuador, distrutto dall’eruzione del vulcano Thunguraua nell’altopiano andino. In questi anni sono stati costruiti le abitazioni del villaggio, l’asilo nido, la scuola materna, la scuola primaria e il centro medico. Con il sostegno della Cooperativa si garantiscono il trasporto scolastico giornaliero per il nido e per tutti i ragazzi che continuano gli studi fuori e distante dal villaggio, l’acquisto di attrezzature e materiale didattico, la retribuzione personale docente, medico ed infermieristico tutt’ora in servizio.
L’Ama-Aquilone nel ringraziare chi in questi anni ha aiutato ed è stato vicino al progetto, rinnova gli stimoli invitandovi alla Cena di Solidarietà il giorno 30 novembre 2012 alle ore 20.30 presso il Ristorante “Villa Picena” , Via Salaria 66 di Colli del Tronto (AP).
Per informazioni e prenotazioni potete scrivere a Sara Pontani sara@ama-aquilone.it Paula Beatriz Amadio paulabeatriz@ama-aquilone.it
Il Progetto “L.I.F.E. Lavoro, Integrazione, Futuro, Economia” è stato finanziato dalla Fondazione Prosolidar Onlus di Roma.
E’ iniziato nel mese di gennaio 2012 ed ha durata triennale. L’obiettivo primario del progetto è quello di fornire alle persone destinatarie (persone con problemi di dipendenze: alcol, droghe, gioco …) gli strumenti necessari per un reale e concreto inserimento lavorativo, professionalizzando persone fondamentalmente esclusi dai processi produttivi ed offrendo loro strumenti operativi specifici che tengano conto delle singole potenzialità ed attitudini.
Nell’ambito del progetto vengono progettati e sviluppati dei laboratori professionalizzanti, sia sulla base delle propensioni ed attitudini dei singoli partecipanti che sulla base dell’offerta di lavoro maggiormente richiesta dal territorio (in termini di lavoro subordinato e non).
I laboratori professionalizzanti attivati dal mese di febbraio al mese di ottobre 2012 sono stati complessivamente 9 e sono i seguenti:
N. 4 laboratori per “Pizzaiolo” in collaborazione con Pizza Express da Giada di San Benedetto del Tronto (AP)
N. 3 laboratori per “Ricostruzione unghie base in gel con lampada U.V.” in collaborazione con il Centro estetico Dejavu di Giulianova (TE)
N. 1 laboratorio “Anice verde di Castignano” in collaborazione con la ditta “Meletti Silvio” di Ascoli Piceno
N. 1 laboratorio “Informatica” in collaborazione con “Liberi cantieri digitali” di San Benedetto del Tronto (AP)
Complessivamente hanno partecipato 71 persone di cui 45 uomini e 26 donne, di età compresa tra i 17 ed i 46 anni.
La Cooperativa sociale “Ama-Aquilone”, insieme alla Fondazione Carisap di Ascoli Piceno, nell’ambito del progetto “Per una rete di asili familiari (tagesmutter)”, rende noto che è aperto il bando per la partecipazione al corso di aggiornamento professionale per la figura di Operatore Nidi Domiciliari. L’iniziativa della durata di 100 ore è totalmente gratuita ed è aperta a coloro che hanno uno dei seguenti titoli di studio: Laurea in campo educativo e formativo o psicologico sociale; Diploma di abilitazione all’insegnamento nelle scuole di grado preparatorio; Diploma di dirigente di comunità (Istituto Tecnico Femminile); Diploma di maturità magistrale o diploma di maturità (Liceo psico-pedagogico); Diploma di maturità professionale di assistente per comunità infantili.
Il progetto pilota ha l’obiettivo di favorire la nascita di una rete di NIDI DOMICILIARI così come disciplinati dalla Regione Marche (DGR 741 del 28/05/2012 e successive). Si tratta di servizi ispirati al modello delle tagesmutter (mamme di giorno), così come conosciuto nel contesto europeo e attuato in molte regioni italiane da diversi anni.
Il Nido Domiciliare consente alle famiglie di affidare in modo stabile e continuativo i propri figli a personale appositamente formato che professionalmente e/o in collegamento con organismi della cooperazione sociale o di utilità sociale non lucrativi, fornisce educazione e cura a uno o più bambini (0-3 anni) presso il proprio domicilio o altro ambiente adeguato ad offrire cure familiari (Regione Marche con DGR n.1038 del 09/07/2012 e successive).
La diffusione e la promozione del servizio nasce dalla difficoltà delle donne a poter conciliare serenamente i tempi del lavoro con quelli della famiglia, costringendo, a volte, a dover rinunciare alla propria autonomia e professionalità.
Il bando non ha scadenza in quanto saranno promosse più edizioni del corso.
Le domande di partecipazione al corso, redatte secondo il fac-simile qui disponibile, dovranno pervenire all’Agenzia di Formazione – COOP. SOC. AMA-AQUILONE Via Pasubio n.78, San Benedetto Del Tronto (AP) o essere inviate via Fax allo 0735.751935 o all’indirizzo e-mail fabio@ama-aquilone.it.
“Rien ne va plus” è un servizio ambulatoriale gratuito che si rivolge a giocatori problematici e/ o loro familiari offrendo percorsi trattamentali, di sostegno e counselig. Nasce da un progetto realizzato nel 2012, in linea con l’emergere e l’inasprirsi di questa problematica di dipendenza.
Il servizio è aperto dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 18.00 e le attività offerte consistono in: – interventi educativi – interventi psicologici – consulenze (legali e finanziarie) – couseling familiare
E’ attivo un numero verde attraverso il quale è possibile richiedere consulenze telefoniche: 800092662
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