Tratto da Itaca. Ogni processo di uscita da trappole di miseria e di indigenza comincia sempre dal valorizzare quelle dimensioni di ricchezza e di bellezza presente in quei “poveri” che si vorrebbero aiutare. Di Luigino Bruni.
Le povertà non sono tutte uguali, e non sono tutte “cattive” o mali. Ci sono parole che dicono sempre e solo negatività: menzogna, razzismo, omicidio. La povertà non è tra queste, perché accanto alle “povertà”, ce ne sono altre – quelle di Francesco, di Gandhi, di molti poeti e di uomini giusti – che se dovessero essere estirpate dalla terra la lascerebbero molto impoverita. Quando si parla di povertà intesa come deprivazione ed esclusione, quindi quella “cattiva”, dobbiamo tener presente che questa è prima di tutto un’assenza di “capitali” che impedisce la generazione di “flussi” (tra cui il lavoro e il suo buon reddito) che ci consentono poi di svolgere attività fondamentali per vivere una vita degna, e magari bella. Se guardiamo le tante, crescenti, forme di povertà non scelta e subita nelle quali si trovano intrappolate le persone (ancora troppe nel mondo, e ancora troppe donne, troppi bambini, tantissime bambine), ci accorgiamo, o dovremmo accorgerci, che le situazioni di indigenza, precarietà, vulnerabilità, fragilità, insufficienza, esclusione, sono il frutto della mancanza di capitali non solo e non tanto finanziari, ma relazionali (famiglie e comunità spezzate), sanitari, tecnologici, ambientali, sociali, politici, e ancor più educativi, morali, motivazionali, spirituali, carestie di philia, di agape. Questo vale per le povertà antiche (di pane, di cibo), e ancora di più per le nuove povertà. Quando una persona finisce nel giro dell’azzardo è quasi sempre privato di capitali relazionali, motivazionali, educativi. Per capire allora quale tipo di povertà sperimenta una persona che viene definita povera (meno di 1 o 2 dollari al giorno), sarebbe fondamentale guardare ai suoi capitali. E a quel livello intervenire. Potremmo così scoprire che vivere con due dollari al giorno in un villaggio con acqua potabile, senza malaria, con una buona scolarizzazione di base, è una povertà molto diversa da quella in cui si trova chi vive con due (o anche 5) dollari al giorno, ma che questi capitali non possiede, o ne possiede di meno.
Quindi ogni povertà è qualcosa di diverso dall’assenza di denaro e di reddito, come possiamo vedere anche nei casi drammatici quando perdiamo il lavoro e non ne troviamo un altro perché non siamo in possesso di “capitali” che sarebbero fondamentali (aver appreso negli anni giusti un mestiere). I capitali delle persone e dei popoli, quindi le ricchezze e le povertà, sono sempre intrecciati fra di loro. Alcuni capitali, ricchezze e povertà, sono più decisivi per la fioritura umana, ma, tranne casi estremi (anche se rilevantissimi), nessuno è povero al punto di non avere anche qualche forma di ricchezza. Ogni processo di uscita da trappole di miseria e di indigenza comincia sempre dal valorizzare quelle dimensioni di ricchezza e di bellezza presente in quei “poveri” che si vorrebbero aiutare. Ci sono molte povertà dei “ricchi” che potrebbero essere curate dalle ricchezze dei “poveri”, se solo si conoscessero, si incontrassero, si toccassero.