E’ una parola affascinante e un poco misteriosa a dare il titolo a questa edizione di Ama Festival e al numero di Itaca che avete tra le mani. Non la troverete sui dizionari, anche se è famigliare a chi si mette in cammino verso Compostela. “Ultreia” è parola densa di significato, fin dalla sua etimologia, come ha accennato Mariapaola Modestini nell’Editoriale: è composta da due termini latini “ultra”, cioè oltre, e “ja”, là. È quindi un invito al muoversi, ad andare oltre, in direzione di una destinazione: “là”. Che sia legata al cammino di Compostela non ci sono dubbi: infatti compare per la prima volta nel “Codex Calixtinus” , la prima guida del cammino verso il santuario stilata nel XII secolo. Si tratta di un manoscritto del XII secolo conservato nella cattedrale di Santiago. Questo Codice è una raccolta di testi relativi al Cammino di Santiago ed è stato fondamentale per la conservazione e la trasmissione di molte tradizioni e conoscenze sul pellegrinaggio.
La parola “ultreia” appare nella sezione musicale dell’appendice II del “Codex Calixtinus”, e specificamente nel ritornello dell’inno “Dum pater familias” noto anche come “Canto di Ultreia” o “Canzone dei pellegrini fiamminghi”. Questo inno è il più antico dei canti dei pellegrini ed è stato tradizionalmente intonato da persone provenienti da tutto il mondo al loro arrivo nella cattedrale di Santiago di Compostela, segnando la fine del loro lungo e faticoso viaggio. Così canta il ritornello:
Herru Santiagu,
Got Santiagu,
E ultreia, e suseia,
Deus adiuva nos.
Oh, signor Santiago!
Oh, grande Santiago!
Avanti! In alto!
E che Dio ci protegga!
La lingua è di tipo germanico che però combina parole provenienti da altre origini linguistiche, testimoniando così la diversità culturale che contraddistingue il Cammino di Santiago. Fin dai suoi inizi, il Cammino è stato un luogo di incontro e unione di diverse lingue e culture, e questa tradizione è stata mantenuta nel corso dei secoli.
In un altro testo contenuto sempre in quel Codice si ritrova la parola “ultreia”, nel capitolo che narra la solenne messa di papa Callisto (da qui il nome di “Codex Calixtinus”) in occasione della festività di San Giacomo il 25 luglio. Dicono questi versi:
Sarcofagum
cuius sacrum
egri petunt
salutemque capiunt:
cuncte gentes, lingue, tribus,
iluuc uunt calmantes: suseia, ultreia
La sua tomba
visitando
i malati con la salute sono stati ritrovati
tutti i popoli, le lingue, le tribù
vengono a lui gridando: suseia, ultreia
In tutt’e due i casi troviamo “ultreia” accoppiato con un’altra parola di cui non conosciamo il significato: “suseia”. Probabile che si trattasse di una sorta di botta e risposta tra i pellegrini che si incrociavano nel passato lungo un cammino. Quando uno salutava con “Ultreia”, l’altro rispondeva “et Suseia”. Questo secondo termine latino significa “più in alto, sopra”. Con un semplice “suseia”, il pellegrino non fa solo un atto di accettazione, ma conferma che la strada da percorrere è più facile quando è condivisa, quando si cammina insieme, quando ci si aiuta a vicenda.
Secondo alcuni esperti questo saluto indicherebbe l’augurio dei pellegrini di rincontrarsi oltre, più avanti, ovvero alla fine del loro itinerario, cioè alla porta della Cattedrale di Santiago. Nel caso, però questo non accadesse, il saluto poteva essere inteso in un’altra accezione: l’augurio di ritrovarsi più in alto, ossia nel cielo. “Ultreia” e “suseia” sono dunque il filo invisibile che unisce le esperienze, che trasforma ogni fatica in una gioia e ogni gioia in una forza nuova. Sono il motore che spinge ogni
pellegrino a dare il massimo, a non fermarsi mai, a proseguire sempre, non solo con il corpo, ma con il cuore e con la mente.
Giuseppe Frangi