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Chi non cammina non sogna

I CONSIGLI DI UN GRANDE ESPERTO, PAOLO RUMIZ

Gli uomini camminano sempre meno, sono diventati sgraziati, si muovono curvi sui loro telefonini, hanno il collo storto per l’abuso del computer, le spalle rovinate dall’utilizzo del mouse, lo stomaco contratto dallo stress e la testa piena di segnali e rumori di fondo. Un indonesiano, o un etiope, cammina in modo più nobile e felpato di noi, e quando porta un bagaglio in equilibrio sul capo mostra un’andatura eretta e sinuosa che noi abbiamo perduto da un secolo. Qualcuno dirà che sono esagerato. Rispondo con una semplice osservazione fatta nelle vie delle nostre città. Una volta c’erano solo gli scontri frontali fra automobili: oggi è facile vedere scontri fra pedoni che si tagliano la strada alla cieca, digitando messaggini.


Guardando queste cose, e guardando anche me stesso, mi accorgo che non solo siamo diventati goffi e ridicoli, ma che stiamo anche perdendo il senso della realtà.
La nostra testa è cambiata. L’uomo che non cammina perde la fantasia, non sogna più, non canta più e non legge più, diventa piatto e sottomesso, e questo è esattamente ciò che il Potere vuole da lui, per governarlo senza fatica, derubarlo di ciò che Dio gli ha dato gratuitamente, e bombardarlo di cose perfettamente inutili a pagamento. Chi cammina, invece, capisce, parla con gli altri uomini, li aiuta a reagire e a indignarsi contro questa indecorosa rapina che ci sta impoverendo tutti quanti. Il semplice fatto di mettere un piede davanti all’altro con eleganza, di questi tempi, è un atto rivoluzionario, una dichiarazione di guerra contro la civiltà maledetta dello spreco.


I viaggi si sognano a lungo e io sognavo da anni il “Capo delle tempeste” in fondo all’Istria. Sognavo di tagliare l’Istria con un mio itinerario, intendo dire una strada scelta da me; una pista da individuare d’istinto, col fiuto di un buon cane da caccia.
Ero stufo di seguire le strade degli altri, di procedere su percorsi già segnati con in mano una guida. Volevo ritagliarmi un’avventura mia, e lo spazio per farlo c’era. Per l’avventura lo spazio c’è sempre, in qualsiasi parte del mondo. Basta rinunciare alle strade battute e alle strumentazioni elettroniche come il GPS. Non fatevi smontare da chi vi dice il contrario. Basta prendere una mappa e scegliere la strada.


Per uno che va a piedi la scelta delle mappe è fondamentale ed è un affar serio trovare quelle giuste. Oggi che si usano i navigatori satellitari ne vengono prodotte sempre meno, ed è un peccato, perché solo la carta vi dà la visione d’insieme e
vi aiuta a sognare una strada. Le carte buone devono anche indicare chiaramente ogni dettaglio (ponti, sentieri, ferrovie, case isolate, foreste, scarpate rocciose o fiumi) e devono essere quindi della scala giusta. L’ideale per chi cammina è quella
“uno a venticinquemila”, dove ogni centimetro equivale a duecentocinquanta metri (e di conseguenza a ogni chilometro “reale” corrispondono quattro centimetri sulla mappa). Ma anche una buona carta con una riduzione a cinquantamila può fare egregiamente il suo servizio.

La strada che sognavo di fare a piedi era a metà fra la costa ovest e quella est. Mi spiego: se la punta meridionale dell’Istria forma un angolo acuto, la mia strada avrebbe dovuto spaccarlo in due come la freccia di Guglielmo Tell aveva fatto con la mela sulla testa del figlio. Volevo raggiungere quell’angolo magico con una linea retta che i testi di geometria chiamano “bisettrice”. Il territorio della penisola è magnifico: montagne popolate da orsi, altopiani crivellati da grotte e precipizi, paesi arroccati come in Toscana, vigne e sterminati uliveti. E ancora salvia, rosmarino e praterie di piante aromatiche agitate dal vento e capaci di sprigionare profumi da sballo. E infine una costa frastagliata di roccia bianca come la neve.

Sappiatelo subito. Partire è difficile. Troverete un’infinità di amici e parenti pronti a darvi degli alibi per non andare, a scoraggiarvi, a dirvi che quello che volete fare è troppo faticoso, oppure che siete troppo giovane o troppo vecchio o troppo grasso o troppo magro, oppure che avete genitori o figli o fidanzate-fidanzati cui badare.
Bugie, naturalmente. Una delle più clamorose è che vi perderete perché non conoscete la lingua del posto. Ebbene: persuadetevi che per sopravvivere in qualsiasi territorio straniero bastano una cinquantina di parole. Ma attenti, scegliete quelle giuste. Sapere come si dice “telefonino” non vi servirà a niente. Sapere come si dicono acqua, fuoco, locanda, mangiare, eccetera sarà fondamentale. Questo mini
vocabolario sarà l’elenco dei vostri bisogni reali, mille volte più importanti di quelli inculcati dalla pubblicità televisiva.


Comunque sia, si comunica anche senza sapere le lingue. Ricordo che negli anni novanta, in Indonesia, andai a passeggiare tra le risaie in una magnifica notte di stelle e incontrai un contadino che stava controllando la crescita delle sementi.
Aveva una piccola lampada a petrolio. Ci sedemmo vicini, senza sapere niente l’uno della lingua dell’altro, e parlammo. Il tono della voce, lo sguardo e il movimento delle mani ci aiutarono a intenderci. Io capii che lui aveva sette figli, abitava oltre una certa collina e aveva un centinaio di oche nel suo pollaio.