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Puntare alla bellezza, sempre

A un certo punto della storia di Casa Ama sulle sue facciate sono apparse le viti dei vigneti, gli animali, la natura che prepotente fioriva dai rottami degli autobus abbandonati. Pako, Gianni e Nicola incontrano lo street artist Andrea Tarli autore, insieme a Urka, dei murales che dal 2017 raccontano la Comunità.

Di Ana Spena e i ragazzi di Casa Ama.

Poco alla volta le facciate di mattoni di Casa Ama si sono trasformare. L’intonaco ocra che copre i fabbricati che ospitano i dormitori, le sale comuni e gli uffici, ha lasciato spazio ai colori forti. Quando nel 2017 lo street artist, conosciuto a livello internazionale, Andrea Tarli, classe 1973, è arrivato qui il mandato era chiaro: una comunità deve puntare alla bellezza, sempre. Andrea è un autodidatta e dal 2013 abbandona le sovrastrutture dell’arte contemporanea e scende a dipingere in strada prima nella sua città natale, Ascoli Piceno, e poi a Lisbona dove partecipa a varie iniziative promosse dalla Galeria de Arte Urbana GAU. Così nel giro di un mese Tarli e un altro artista, Urka, hanno condiviso la vita con i gli ospiti di Casa Ama. Hanno calibrato il loro lavoro sui ritmi della Casa.

Sulle facciate sono apparse le viti dei vigneti, gli animali, la natura che prepotente fioriva dai rottami degli autobus abbandonati. I ragazzi e le ragazze, gli uomini e le donne che hanno visto Tarli lavorare, non sono gli stessi che oggi camminano negli spazi ariosi della comunità. Qualcuno ha finito il suo percorso, qualcuno l’ha lasciato. I murales sono rimasti lì e chi è arrivato dopo, li osserva, sorride, immagina. Sorride soprattutto quando si imbatte nella scimmia che abita una facciata intera su tre piani e nel disegno pensato da Tarli sovrasta una città. Sorride perché “c’ho la scimmia”, è una voglia incontrollabile e smodata di qualcosa, il riferimento è chiaro e scevro di giudizio. Sorridono anche Gianni 25 anni che vorrebbe fare il cantante, ma a casa non l’appoggiano. Pako, 47, artigiano che sogna di diventare uno scrittore e Nicola, 30, assai concreto, sta finendo il suo percorso e vuole “trovare un lavoro e stare bene”. Loro sono tra quelli arrivati dopo, e Tarli è tornato in comunità per incontrarli.

Come ti è venuta in mente la scimmia? (Pako)
La scimmia è universale, non l’ho mai detto esplicitamente. Ma quando qualcuno ha voglia di drogarsi dice “c’ho la scimmia”. Ma quella scimmia la, la scimmia che ho realizzato per Casa Ama, non è solo il simbolo di una sensazione. Ti guarda un po’ di sbieco, dice “che vuoi? Perchè mi stai a guardare?” Ha una bomboletta in mano pure lei e una città dietro, è un animale che ricomincia a fare le cose, si rimette in moto. Vive.

Perché non usi i social o comunque li usi poco? (Nicola)
Quello dei social network è “un sistema che mi toglie la voglia”. Fino a qualche anno fa facevi un murales e poi lo postavi sui social per farlo conoscere. Oggi invece funziona un po’ al contrario: realizzi un disegno solo perché devi postarlo sui social e raccogliere quanti più followers e mi piace possibili. Ma che senso ha?

Come hai trasformato la passione in lavoro? (Gianni)
Mio padre mi diceva: “se fai l’artista come le paghi le bollette?”. Effettivamente essere bravi non basta, ci devi credere. E ci vuole pure l’incoscienza. Un po’ di anni fa ho aperto uno studio ad Ascoli. Vendevo qualche quadro e un po’ di illustrazioni. Vivacchiavo ma non mi bastava, sognavo in grande. Sognano le facciate dei palazzi. Ad un certo punto ti guardi in faccia e dici: faccio il salto o resto fermo? Ma per fare il salto ti devi rimboccare le maniche, non lo devi solo volere, ma volere tantissimo. E devi mettere in conto il fallimento, se le cose non vanno devi essere pronto a tornare indietro, vivere comunque. Ma “fare il salto” non è una cosa semplice, pure questo lo devi mettere in conto. E allora sbatti la testa “Questa cosa non la voglio fare, però la devo fare. Ma non la voglio fare, ma la devo fare”. Così finché alla fine non la fai. A me è andata bene. 
 

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Il futuro è reciprocità

 di Chiara Giaccardi

«The child is father to the man», scriveva il poeta William Wordsworth; il talento individuale è la «causa» della tradizione, affermava McLuhan, mentre Eliot scriveva «in my end is my beginning». Le parole di questi illustri interpreti della modernità oggi ci possono aiutare a illuminare di nuova luce lo sguardo sul futuro, dopo la fine della fiducia nel progresso, l’ansia della società del rischio, l’angoscia della crisi e della pandemia.

E più in generale a reinterpretare, in un modo che sia adeguato alle sfide di oggi, il rapporto tra passato, presente e futuro. Tendiamo infatti a oscillare tra due poli ugualmente sterili: un presente smemorato, del «life is now», del «carpe diem», dell’istante intenso, dove per vivere le cose come nuove (l’unico attributo che, pare, le rende dotate di valore) dobbiamo dimenticarci di quello che abbiamo detto e fatto il giorno prima (soprattutto delle promesse, degli impegni, ma anche delle delusioni, e persino delle gioie); e un attaccamento al passato come fosse una sorta di età dell’oro perduta, che ci ostiniamo a voler replicare, che pensiamo di difendere e onorare semplicemente mantenendolo uguale a se stesso, in un conservatorismo anacronistico che in realtà uccide il suo valore e la sua capacità di parlare al presente.

Il futuro non può essere una replica atemporale del presente assoluto, né la difesa di un passato ritenuto immodificabile (atteggiamento che ci appare in tutta la sua evidenza nei fondamentalismi religiosi, ma che ci è molto meno estraneo di quanto ci piacerebbe pensare). Il nuovo per il nuovo, e la difesa a oltranza di ciò che nel passato ha funzionato sono oggi due vie perdenti. Credo invece che per rispondere alla crisi del presente, che sembra rendere incerto e minaccioso il futuro, si possa trovare una «via italiana» che, valorizzando la ricchezza del nostro patrimonio antropologico, apra sguardi inediti su un presente difficile che non può essere affrontato solo con strumenti tecnici, ma che ha soprattutto bisogno di senso. 
Un patrimonio da cui penso si possano cogliere alcuni spunti – che, non a caso, hanno a che fare con il tema del «generare» e del «legame» – utili per contenere le derive di un malinteso individualismo, che ha contribuito a portarci dove siamo.

Il tema del generare ci riporta all’idea della non-autosufficienza: esistiamo perché qualcuno ci ha messo al mondo e si è preso cura di noi. Il self made man è un falso ideologico: se siamo riusciti a combinare qualcosa nella vita è perché qualcuno ci ha insegnato qualcosa, qualcun altro ha creduto in noi e ci ha dato fiducia, da qualcuno abbiamo potuto trarre ispirazione ed esempio e così via. Nemmeno il genio e l’artista sono immuni dal debito, come scriveva Guardini ne “L’opera d’arte”. Solo poi per il fatto di vivere in città dense di storia, di arte e di bellezza, di avere imparato a distinguere sapori che variano nel giro di pochi chilometri di distanza, di aver ascoltato le sfumature della lingua e ammirato la varietà dei paesaggi, abbiamo ricevuto in dono un capitale culturale enorme. Al quale possiamo essere fedeli solo nella gratitudine e nel desiderio di rigenerare, rinnovandolo, quanto di buono abbiamo ricevuto. Perché il tempo non è solo lineare. Esiste una dimensione paradossale del tempo, che è quella che consente ai figli di «ri-generare» i loro genitori, nel momento in cui ne raccolgono l’eredità per farla germogliare in nuove direzioni; o che permette al singolo talentuoso, collocandosi in una tradizione, di ridarle nuova vita facendone sviluppare aspetti inespressi; o che ripete il miracolo della morte-rinascita nel momento in cui ciò che sembrava spegnersi rivela, per chi la sa vedere e accompagnare, una vitalità inaspettata.

La vita artistica, imprenditoriale, sociale del nostro paese è ricca di esempi di questo tipo, che scardinano la sequenzialità, l’irreversibilità dei processi, la tirannia del tempo per valorizzare la reciprocità, la contemporaneità di chi ci ha preceduto, il potenziale propulsivo della gratitudine, la trasformazione delle fini in nuovi inizi. Solo con la fantasia e il desiderio di far rinascere la tradizione che abbiamo ricevuto, e l’umiltà e l’impegno che scaturiscono dalla gratitudine per quanto altri hanno fatto per noi, magari senza poterne godere a loro volta, potremo dar vita a un futuro, da consegnare ai nostri figli: che non sia segnato semplicemente dalla rinuncia, dalla decrescita, dalla frustrazione, ma dall’eccedenza della vita, che sa innovare perché creativamente fedele a ciò che l’ha generata.

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Servizio civile con Ama Aquilone

Approvati i progetti per il Servizio Civile Universale promossi dal CNCA, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, ente accreditato di prima classe presso l’Ufficio nazionale del servizio civile, con cui la Cooperativa Ama Aquilone ospiterà in totale 18 volontari, ragazze e ragazzi tra i 18 ed i 28 anni.

Le domande di candidatura dovranno prevenire entro e non oltre mercoledì 9 marzo 2022 alle ore 14.00.

È possibile presentare una sola domanda di partecipazione per un unico progetto, pena l’esclusione dalla partecipazione della selezione.

– Progetto ISO: Indipendenze Sociali
Obiettivi del progetto: rafforzare la prevenzione e il trattamento dell’abuso di sostanze, compreso l’abuso di stupefacenti e l’uso dannoso di alcol negli adulti.

Sede per lo svolgimento del progetto:
Casa Ama

Casa Augusto Agostini

Casa Aquilone

Casa La Bussola CODD

Centro Diurno Casa L’Aquilone

Giorni ed orari di apertura sede: 
Lunedì-venerdì dalle ore 9.00 alle ore 18.00

– Progetto DAFF – Da Ferite a Feritoie
Obiettivi del progetto: garantire ai minori più vulnerabili di completare l’istruzione primaria e secondaria libera, promovendo rilevanti ed effiaci risultati di apprendimento durante la pandemia.

Sede per lo svolgimento del progetto
Casa La Navicella

Giorni ed orari di apertura sede: 
Lunedì-venerdì dalle ore 9.00 alle ore 18.00

 – Progetto SISMAG – Sostegni Integrati al Maternage Genitoriale
Obiettivi del progetto: sviluppare un modello di promozione di capacità genitoriali, migliorando il rapporto madre-figlio in situazioni di disagio.

Sede per lo svolgimento del progetto:

Casa Augusto Agostini

Giorni ed orari di apertura sede: 
Lunedì-venerdì dalle ore 9.00 alle ore 18.00

Come presentare la domanda
La domanda deve essere presentata esclusivamente attraverso la piattaforma Domande On Line (DOL), raggiungibile tramite PC, tablet e smartphone all’indirizzo https://domandaonline.serviziocivile.it

1) I cittadini italiani residenti in Italia o all’estero, e i cittadini di Paesi Extra Unione Europea regolarmente soggiornanti in Italia
possono accedere ai servizi di compilazione e presentazione della domanda esclusivamente con il Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID). Sul sito http://www.agid.gov.it/it/piattaforme/spid sono disponibili tutte le informazioni su cosa è SPID, quali servizi offre e come si richiede.

2) I cittadini che appartengono ad un Paese dell’Unione Europea differente dall’Italia, o a Svizzera, Islanda, Norvegia e Liechtenstein, che ancora non possono disporre dello SPID e i cittadini di Paesi Extra Unione Europea in attesa di rilascio di permesso di soggiorno
possono accedere ai servizi della piattaforma DOL previa richiesta di apposite credenziali al Dipartimento, secondo una procedura disponibile sulla home page della piattaforma stessa.

Non costituiscono cause ostative alla presentazione della domanda di Servizio Civile:
– aver interrotto il servizio civile nazionale a conclusione di un procedimento sanzionatorio a carico dell’ente originato da segnalazione dei volontari;
– aver già svolto il servizio civile nell’ambito del programma europeo “Garanzia Giovani” e nell’ambito del progetto sperimentale europeo IVO4ALL.
I volontari impegnati, nel periodo di vigenza del presente bando, nei progetti per l’attuazione del Programma europeo Garanzia Giovani possono presentare domanda ma, qualora fossero selezionati come idonei, potranno iniziare il servizio civile solo a condizione che si sia intanto naturalmente conclusa – secondo i tempi previsti e non a causa di interruzione da parte del giovane – l’esperienza di Garanzia Giovani.

Il calendario delle convocazioni per la selezione dei volontari sarà pubblicato e consultabile sul sito www.ama.coop, non appena pervenute tutte le domande.

Il Servizio Civile Universale ha una durata di 12 mesi, per 25 ore settimanali su 5 giorni, con un rimborso mensile di 439,50 euro.

Per informazioni
Giada Di Nicola E. giada@ama-aquilone.it M 328 5591192 (dal lunedì al venerdì ore 14.00 -17.00)

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Splendi come vita

Dalla rubrica, del nostro magazine free press Itaca, “Consigli di lettura” vi proponiamo “Splendi come vita”, edito da Ponte alle Grazie, della scrittrice e romanziera Maria Grazia Calandrone poetessa, scrittrice, drammaturga, artista visiva e conduttrice su Rai Radio 3. 

Antonella Roncarolo

Non è tra i cinque finalisti del Premio Strega lo straordinario romanzo poetico (o non romanzo), Splendi come vita di Maria Grazia Calandrone edito da Ponte alle Grazie.
Meglio così. 

Le parole, le immagini, le storie non dette, possono così volare alte e libere sopra le umane miserie, come solo la poesia può.

Nella prima pagina di Splendi come vita è riprodotta la fotocopia, sbiadita dal piombo della vecchia stampa ad inchiostro, di un articolo tratto da un quotidiano datato 10 luglio 1965 nel quale si racconta la vicenda di Maria Grazia, bambina di 8 mesi, abbandonata dalla madre suicida nel parco di Villa Borghese.

Affidata alle balie del brefotrofio di Villa Pamphili, la bimba sarà poi adottata dai coniugi Calandrone
Il racconto parte dal momento in cui, a soli quattro anni, la madre le racconta della sua adozione. Quella inopportuna rivelazione per una bambina tanto piccola rappresenta l’inizio della “Caduta nel Disamore” e, tra lei e la Madre, si insinua una sottile distanza che, giorno dopo giorno, le allontana. Equivoci, accuse e sgarbi si sommano tra loro a definire un distacco incomprensibile, nato da una colpa mai compiuta.

“Sono figlia di Lucia, bruna Mamma biologica, suicida nelle acque del Teverequando io avevo otto mesi e lei appariva da ventinove anni nel teatro umano. Sono figlia di Consolazione, bionda Madre elettiva, da me fragorosamente delusa.”

Il carattere autobiografico del testo, la narrazione per immagini, in cui i dettagli non vengono del tutto resi noti, potrebbero indurre alla percezione di un romanzo ripiegato su sé stesso. Eppure, nonostante l’intimità del testo, il lettore vi si immedesima, ritrovando le difficoltà e le incomprensioni sempre presenti nei rapporti genitoriali.
 

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Aborigeni Mezzadri: storie di economia circolare

Nella Regione Marche, dagli Appennini al mare, vive una popolazione di ultra-ottuagenari in via di estinzione. Sono gli ultimi mezzadri delle nostre campagne, abbandonate negli anni ’60 con l’arrivo della modernizzazione. Prima che il tempo ne dissolva la memoria, l’associazione Malacultura ha raccolto in una guida emozionante, dedicata ai princìpi dell’economia circolare, gli ultimi testimoni di questa umanità inconsapevolmente ecologica e fragile. L’obiettivo prefisso? Valorizzare le eredità culturali dei luoghi e delle persone attraverso un approccio di Heritage Design delle arti visive ed editoriali.

di Giuseppina Pica e Alessia Piccioni

C’era una volta Graziella, la tessitrice, che con i fili di canapa, parte della rotazione agraria come il grano, tesseva teli destinati alle cose più preziose. E poi ancora Renato, il cercatore d’acqua, che con un ramoscello preso fra le due mani incede nella sua ricerca sotterranee. E Pierina, la domatrice di uccelli, cresciuta con gli animali. Ugo, Lorenzo, Ginetta e tanti altri ancora. Diciotto ritratti autentici ci restituiscono l’essenza dei contadini aborigeni, vissuti in economia di sussistenza e dunque secondo un insieme di processi che imitano la Natura, dove tutta la materia circola seguendo il principio per cui nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.

Silenziosamente, con il loro quotidiano lavoro, si sono presi cura della nostra terra, dalle montagne alle valli, contribuendo a costruire il nostro splendido paesaggio rurale e a mantenere la preziosa biodiversità delle Marche. Contadini custodi di una realtà agricola magica e rurale, che hanno rispettato la natura e applicato le leggi dell’economia circolare.


«Quando Laura mi ha parlato di Aborigeni mezzadri» – Spiega Giancarlo Oresti, Presidente Associazione Malacultura e Responsabile marketing del progetto editoriale Aborigeni Mezzadri – «Ho riscoperto un po’ quella che era stata la mia giovinezza. Avevo i nonni che vivevano in campagna e d’estate non vedevo l’ora di andare da loro, per stare in libertà. Libertà era avere a disposizione delle persone che ti insegnavano qualcosa. Così è nata la voglia di riscoprire e conservare le esperienze di questa generazione di ottuagenari, un patrimonio culturale unico che altrimenti sarebbe andato perduto».


Patrimonio identitario e comunità culturali di appartenenza. L’UNESCO definisce la cultura come l’insieme degli aspetti spirituali, materiali, intellettuali ed emozionali che contraddistinguono una società o un gruppo sociale. Essa non comprende solo l’arte e la letteratura, ma anche i modi di vita, i diritti fondamentali degli esseri umani, i sistemi di valori, le tradizioni e le credenze. L’eredità culturale rappresenta un fattore decisivo nell’evoluzione delle società umane perché è strettamente legata ai valori condivisi che sono destinati a svolgere un ruolo chiave nei prossimi decenni perché rappresentano ambiti innovativi di possibile creazione di benessere sociale ed economico.

«Anche la struttura del libro riflette la circolarità sostanziale di questa economia governata da principi che vengono presentati attraverso le testimonianze dei mezzadri. Siamo una regione tipicamente rappresentativa della cultura contadina.» – Racconta Laura Melloni, autrice della pubblicazione insieme al fotografo Alessio Panichi. – «Una cultura di cui si parla tanto oggi, ma non è ancora scontato il collegamento con l’economia circolare e con la sua modernità, oggi riproponibile in chiave avanguardista e non nostalgica. Sappiamo tutti che l’attuale modello di vita occidentale non è più sostenibile. Dobbiamo cambiare, ma non sappiamo come farlo. Forse, abbiamo bisogno di imparare dal passato per assicurare il benessere a chi verrà dopo di noi».


Il prossimo passo? Realizzare ad Ascoli Piceno un’installazione cittadina legata al libro per porre l’attenzione sugli Aborigeni e su come queste persone, per noi invisibili, possono essere considerate una vera e propria risorsa per il futuro dell’economia circolare.


Aborigeni Mezzadri. Sono indicati dalle antiche fonti storico letterarie come tra i più antichi abitanti le zone montuose dell’Italia centrale, e praticavano un culto dedito al dio Saturno che si diceva avesse insegnato loro l’agricoltura. Chiamare il mezzadro Aborigeno, non è casuale, perché nella tradizione l’espressione non significa ‘colui che vive li dall’origine’, come potrebbe indicare il termine, ma colui che vive in economia di sussistenza.

Principi dell’economia circolare. Scarti come risorse, L’unione fa la forza, Energie rinnovabili, Pensiero sistemico: il Mondo Naturale è la fonte di ispirazione dell’economia circolare. Nonostante quello della circular economy sia un concetto non recente, in realtà è un processo naturale dal quale dobbiamo trovare ispirazione. Come sostiene Ellen MacArthur, fondatrice dell’omonima fondazione «l’economia circolare è un’economia pensata per potersi rigenerare da sola». Per trovare soluzioni alle principali sfide globali –il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, l’inquinamento – l’economia circolare è un punto di approdo essenziale.


Circular Economy Plan. Nel 2015, l’UE ha scritto il primo Pacchetto sull’Economia Circolare (EC), un insieme di 54 azioni, elaborate per facilitare la transizione verso un’economia circolare europea. L’11 marzo 2020, è stato creato il Circular Economy Plan, che nasce seguendo proprio le linee guida dal Pacchetto EC. Al suo interno il Circular Economy Action Plan contiene tutte le iniziative che l’UE ha deciso di porre in essere lungo l’intero ciclo di vita dei prodotti: partendo dalla progettazione e dai processi produttivi, passando poi alla promozione di un consumo sostenibile. L’11 febbraio 2021 è stato modificato e approvato il nuovo Piano d’Azione dell’Economia Circolare. Infatti, per l’Europarlamento l’Economia Circolare è «la strada che l’Ue e le imprese devono seguire per restare innovative e competitive sul mercato globale, riducendo nel contempo la loro impronta ambientale».


Info malacultura.it / gliaborigeni@gmail.com

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Guida “Le Marche nel Bicchiere 2022”: Ama è nella rosa delle eccellenze marchigiane

La prestigiosa Guida, curata dall’Associazione Italiana Sommelier Marche, ha assegnato al nostro Piceno Superiore Ama 2018 una segnalazione di merito rientrando nella rosa delle ‘eccellenze’ delle Marche.

Si è tenuta domenica 28 novembre la 14° Edizione dell’evento di Premiazione Eccellenze e dei vini 
con favorevole rapporto qualità-prezzo delle Marche. Alla presenza delle autorità regionali e provinciali, della stampa, e dei rappresentanti di Ais Marche, sono stati consegnati i diplomi che premiano i vini eccellenti e quelli con favorevole rapporto qualità-prezzo.

Fra i premiati si inserisce il Piceno Superiore Ama 2018 che entra a pieno titolo, come vino eccellente, nel volumetto realizzato con l’obiettivo di far scoprire le piccole e le grandi aziende disseminate lungo le colline marchigiane e, possibilmente, stimolare il fenomeno sempre più incisivo dell’enoturismo.

Le caratteristiche del pregiato vino a marchio Ama Terra?
È un vino caldo, morbido, il frutto avvolgente e profondo di un processo misterioso che comincia in campo e finisce nel cuore di una piccola botte, di rovere francese, chiamata barrique. Dal colore rosso rubino con velature calde, ha un profumo intenso con avvolgenti note fruttate di prugna, more, ribes e amarene. Il finale è caratterizzato da lievi fragranze di pepe nero e speziato. Si sposa con antipasti caldi, primi piatti elaborati e formaggi di media stagionatura. La temperatura di servizio è di 18°C.

Il segreto del suo successo?
Il tempo e la cura: diciotto mesi in barrique e tre mesi di affinamento in bottiglia.

Ringraziamo l’Associazione Italiana Sommelier Marche per questo riconoscimento, che conferma l’eccellenza di un prodotto che vanta proprietà organolettiche superiori, frutto della nostra passione per la terra e dell’esperienza.
 

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Quanto siamo disposti a lottare per realizzare i nostri sogni?

Dalla rubrica, del nostro magazine free press Itaca, “Consigli di lettura” vi proponiamo “Cose da salvare in caso di incendio”, edito da Longanesi, della scrittrice e romanziera americana Haley Tanner. 

Mimmo Minuto.

Vaclav ha dieci anni e un sogno: diventare un “magnifico mago” e fare dell’amica del cuore Lena la sua “incantevole assistente”. Nasce all’insegna della magia l’amicizia speciale di due bambini, entrambi figli di ebrei russi emigrati in America in cerca di opportunità. Un giorno la madre di Vaclav scopre un terribile segreto sull’infanzia di Lena e proprio da quel giorno la piccola sparisce, come per effetto di un numero di magia. Per anni Vaclav si addormenta la sera domandandosi che fine abbia fatto la sua amica, chi si stia prenendo cura di lei, finché la sera del suo diciassettesimo compleanno riceverà una telefonata che gli cambierà per sempre la vita. Un romanzo scritto col cuore, un libro sull’amicizia, sulla purezza dei sogni e dei sentimenti che permettono a due anime speciali di superare gli orrori del mondo e di ritrovarsi nonostante le difficoltà della vita.
 

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Ama Terra: un marchio dai buoni sapori e dal grande calore

Combinazione rara è la storia del marchio Ama Terra che racchiude in sé tutta l’energia positiva e contagiosa di un progetto che parte dal rispetto dell’uomo e del suo territorio, ma che, soprattutto, si fonda sull’idea dell’importanza del lavoro quale mezzo per elevare la dignità umana.

Ama Terra è una delle costole de La Cooperativa Sociale Onlus Ama Aquilone, fondata nel 1983, e ora, tra le realtà più rappresentative delle Marche che, grazie alla sua complessa struttura specialistica, si dedica, con le specificità dovute, all’accoglienza di persone senza fissa dimora, di tossicodipendenti, di persone in comorbilità psichiatrica, di mamme tossicodipendenti con figli, di minori e minori stranieri non accompagnati e di soggetti con dipendenza patologica da gioco d’azzardo.

Un’umanità fragile a cui offrire una sponda solidale, fatta di ascolto, comprensione, amicizia, e anche d’integrazione sociale e lavorativa.

Da qui, il progetto Ama Terra: siamo nel 2010 quando La Cooperativa si adopera per avviare un sistema di agricoltura biologica, da una parte per educare gli ospiti delle Comunità Terapeutiche al benessere derivante da un’alimentazione bio, dall’altra anche per offrire loro la possibilità di acquisire competenze di orticoltura, apicoltura, preparazione di trasformati biologici ed allevamento, che possano rappresentare un’opportunità in più per avvicinarsi al mondo del lavoro.

Una fase ulteriore del cammino terapeutico che, attraverso l’ergoterapia, quella che gli inglesi chiamano occupational therapy, ovvero l’esercizio di mantenere un’attività lavorativa razionalmente ordinata per scopi curativi, consolida il progetto di inclusione di tutti gli ospiti della Cooperativa.
Ma è solo dopo tre anni, nel 2013 che, da un incremento degli investimenti nelle attività, nasce il marchio Ama Terra. E così, Ama Aquilone attraverso la vendita al pubblico di ortaggi freschi e trasformati, di olio, farine, vino, miele e polline, e di tutti gli altri prodotti biologici della Bio Fattoria Sociale, ecosostenibili e certificati CCPB, è riuscita a promuovere il consumo cosciente, la salvaguardia del territorio rurale e delle sue antiche coltivazioni oltre all’etica sociale del lavoro, offrendo un’opportunità concreta per persone considerate “a basso potere contrattuale”.


Ultimo nato tra i tanti prodotti di Ama Terra, è il vino IL TOPO Marche IGT Syrah 2020, una varietà al 100% Syrah marchigiano, di cui ne saranno imbottigliate solo 800 bottiglie in edizione numerata. La storia che accompagna questa nuova produzione è legata a una delle persone che ha fatto parte, e fa parte, della storia della cooperativa: Gabriele Novi, detto “il topo”.


Il Topo, Marche IGT Syrah: “Un vino che racconta la storia di uno di noi”

Veste rosso rubino fitto. Intenso l’impatto al naso, scuro, quasi cupo, di piccoli frutti neri di mirtilli e cassis, addolcito da sfumature di vaniglia e lieve spolverata di pepe bianco. In successione bacche di ginepro e richiami di macchia mediterranea. Nel complesso i sentori delineano un profilo olfattivo ampio che si svela lentamente, offrendo sia note scure che dolci. Il sorso deciso rivela un tannino in evoluzione che asciuga il palato, offrendo ampie prospettive di abbinamento. Di buona struttura, permane nel finale con un retrogusto che torna su aromi di macchia mediterranea.


Etichetta: Quella de IL TOPO Marche IGT Syrah è un’etichetta pop, che risalta opportunamente rispetto alle etichette della linea classica in cui questo profumato Syrah è inserito. In un’ottica di restyling delle etichette di tutti i vini Ama Terra, questa bottiglia sarà l’elemento fuori dalle righe.

Il contorno esterno dell’ultima “O” è stampato con un rilievo a secco, mentre la parte centrale è stampata con una lamina con effetto iridescente/spaziale e vuole rappresentare una sorta di portale iper-dimensionale che ci collega al luogo dove si trova ora Gabriele e dal quale viene a trovarci attraverso questo vino.

La bottiglia scelta è moderna. Le sue dimensioni ridotte e la sua forma allargata la rendono impossibile da ignorare. Sicuramente, anche se è bassina (come Gabriele), non passa inosservata.
Per la chiusura, considerata anche la produzione molto limitata, la scelta è ricaduta su una gommalacca color verde fluorescente. Il verde, qui in una tonalità molto appariscente che ritroviamo anche in alcuni dettagli dell’abbigliamento di Gabriele, trasmette tranquillità, sicurezza e speranza e creatività.

A primo sguardo il consumerà leggerà “IL TOP” per poi scoprire tutti i dettagli in un secondo livello di lettura. Un breve testo descrittivo che posizionato sulla retroetichetta, darà al consumatore tutte le chiavi di lettura di questa etichetta celebrativa. Come la tiratura limitata e singolarmente numerata.

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Il futuro è nel presente

Di Silvano Petrosino

Il futuro non è “l’avvenire”. Il futuro è necessariamente legato al presente: è sempre il futuro di un determinato presente. Non potrebbe essere altrimenti; quando noi pensiamo al futuro, quando ad esempio progettiamo una determinata iniziativa futura, non possiamo far altro che partire dal presente in cui viviamo, vale a dire dalle idee, sogni, speranze, ipotesi, immaginazioni, ecc. che abitano il nostro presente.

È a partire dall’oggi che penso al domani allo scopo di progettare le mie azioni future; di conseguenza il domani, pensato/immaginato oggi, non può far altro che contenere delle tracce di questo stesso oggi a partire dal quale lo penso/immagino. Ritorna il tema del pre-vedere: è a partire dall’oggi che pre-vedo/ pro-getto quel futuro che, da questo punto di vista, è sempre un suo riflesso e in qualche modo una sua immagine; nel pro-gettare getto nel futuro qualcosa che proviene inevitabilmente dal presente. Dunque, come spesso si è sottolineato, il futuro è sempre il futuro di un presente. All’opposto, l’avvenire è precisamente ciò che non può essere previsto/progettato; esso è il campo dell’evento, dell’avvenimento, di ciò che viene e accade, e ciò che accade e viene lo fa sempre senza avvisare, senza pre-avvisare. Accade, ad esempio, che ci s’innamori, ma è una follia pro-gettare di innamorarsi; nessuno può prevedere con serietà quando e se s’innamorerà. Per chiarire questo punto può essere utile accennare brevemente alla riflessione che Derrida sviluppa intorno al tema dell’«invenzione dell’altro» e più precisamente alla categoria dell’immaginazione.

Commentando lo slogan sessantottino «L’immaginazione al potere», si può infatti osservare che senza alcun dubbio si tratta di liberare l’immaginazione e il pensiero per dare vita a nuove idee, a nuove interpretazioni, stabilendo così nuovi nessi tra teorie e concezioni diverse capaci di interrogare e a volte addirittura di rivoluzionare il tradizionale modo di pensare. Ma al tempo stesso si tratta anche di riconoscere l’urgenza e la necessità di liberarsi dall’immaginazione per predisporsi ad accogliere il nuovo, l’imprevedibile, ciò che il filosofo francese chiama addirittura «l’impossibile», vale a dire ciò che non può essere previsto e progettato, ciò che, per l’appunto, non può neppure essere immaginato. In questo modo si tratta di operare per liberarsi dall’incanto provocato dalla proiezione della propria immagine all’interno della propria immaginazione, evitando così di trasformare quest’ultima, non in un’apertura al nuovo, ma in una forma di difesa nei suoi confronti. In effetti, quando nel mio presente immagino e progetto il futuro, quest’ultimo, come ho già sottolineato, non può che recare in sé le tracce della mia stessa immagine e del mio presente. Da questo punto di vista si può intendere l’avvenire come l’altro dal futuro, e l’altro – è un punto sul quale insiste con particolare forza Derrida – è precisamente ciò che non s’inventa, non s’immagina, non si prevede. Liberarsi dall’immaginazione, nella misura in cui è possibile, significa dunque accettare l’eccedenza dell’improgettabile, dell’imprevedibile, dell’inimmaginabile, dell’inimmaginabile, significa aprirsi all’avvenire come a un luogo che nessun futuro può circoscrivere.

Ritorniamo ora alla nostra questione a partire dalla distinzione proposta. L’uomo ha sempre cercato di ricondurre l’eccedenza dell’avvenire all’interno dei confini del futuro, ha sempre cercato di immaginare l’inimmaginabile al fine di progettare il proprio futuro e tentare così di “metterlo in sicurezza”, ma nella nostra società questa tendenza è diventata tecnologicamente così potente da arrivare a pensare che forse l’identificazione tra avvenire e futuro possa essere concretamente realizzata. L’immaginazione di oggi, con l’aiuto dell’algoritmo e del calcolo computazionale, arriva a “immaginare”, ingannandosi, di poter ridurre la distanza che separa il futuro dall’avvenire, e di poterla ridurre a tal punto da riuscire, prima o poi, addirittura ad annullarla.

Se ci si impegna, lo si continua a ripetere, con l’aiuto della scienza e delle tecnologie informatiche si riuscirà a ridurre l’ignoto solo a ciò che non è ancora noto, così come si riuscirà a trasformare l’imprevisto solo in ciò che momentaneamente non è ancora previsto, e quest’ultimo, proprio perché è solo un “non ancora previsto”, ha in verità l’identità di quell’“imprevisto previsto” di cui parlavo più sopra. Mi permetto di insistere: nel nostro futuro, in quello della stragrande maggioranza degli abitanti del “primo mondo” (a esclusione, lo ripeto, degli studiosi delle malattie infettive), l’epidemia che ci ha colpito – e soprattutto come lo ha fatto – non era, per delle ragioni essenziali, prevedibile. Il nostro presente, preoccupato di progettare il futuro – si pensi all’isteria con la quale molti genitori, per “mettere in sicurezza” il futuro dei propri figli, portano a esaurimento il loro avvenire, quello dei figli, occupandolo di attese, di sollecitazioni verso quel master o quello stage, di “suggerimenti” verso quella professione invece che verso quell’altra, non lasciando alcuno spazio all’accadere del nuovo –, ha finito per dimenticarsi dell’avvenire, ha prestato attenzione solo al futuro e si è disinteressato dell’avvenire.

Ma quest’ultimo si è fatto sentire, con la sua voce, che, per l’appunto, è sempre quella della sorpresa e dell’imprevedibilità.
 

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L’unione fa la forza: è nato il consorzio Ama – Utopia

Il 9 novembre, presso lo studio notarile “I tre notai”, si è costituito il Consorzio “Ama – Utopia” tra le Cooperative Sociali Ama Aquilone, Utopia e Officina 1981.

L’obiettivo è la realizzazione e la gestione di una Comunità Terapeutica per minori con problematiche psichiatriche.

• Presidente: Francesco Cicchi – Ama Aquilone

• Vicepresidente: Roberto Marinucci – Utopia

• Consiglieri: Maria Paola Modestini, Christian Gretter, Maurizio Castelli.

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